RECENSIONE: Of The Wand And The Moon – The Lone Descent
Ciao a tutti,vi ricordate di me? Si, sono proprio io, il vostro Servovostro, tornato dal regno dei morti dopo quasi un anno in cui non ho più detto la mia su nulla. E ci credo,mica sono un nullafacente come voi che se ne sta li a tergiversare su inutili facezie ogni dì. Ma a parte questa nota personale, volevo rendervi partecipi di un genere che in questo lungo periodo ho amato ed apprezzato non ancora nella sua totalità,anche perché comprende innumerevoli gruppi di ogni foggia e stile. Questi sono raggruppati sotto il cosidetto genere del “Neofolk”,una sorta di revival delle sonorità pagane e medievali.
Ora non sto a spiegarvi quanti gruppi esistano che a tutt’oggi propongono questo stile percé non ne avete idea (ho una mezza intenzione di creare una sorta di guida al neofolk, lavoro alquanto oneroso e coraggioso devo dire, ma non si sa mai). Per fare un riassunto, le principali etichettature che vengono attribuite a questo genere a mio parere ingiustamente tenuto in sordina sono: Pagan Folk (ovvero folk pagano,con argomenti che riguardano la bellezza della natura,leggende e miti nordici,dove vengono utilizzati strumenti semplici come chitarre,tamburi,sonagli e cori); Martial Folk (un genere più aspro e ostico, tendente all’Industrial con un largo utilizzo di effetti elettronici e con melodie ripetitive e ossessive che ricordano,come dice il termine stesso, marce militari); Dark Folk o Apocalyptic Folk (simile al pagan ma con argomenti più tetri quali la morte,la tristezza,la religione,l’apocalisse ecc.).
Voglio qui spezzare una lancia a favore di un vero outsider dell’ambiente neofolk, che arriva dal metal (come molti musicisti che si avvicinano a questo stile musicale) e che rappresenta quell’ago nel pagliaio che a me piace sempre trovare in questi casi. Parliamo del progetto Of The Wand And The Moon (spesso anche scritto :Of The Wand And The Moon:) del chitarrista Kim Larsen,già membro di band doom metal o melodic death metal danesi. Il suo folk è chiaramente caratterizzato in prevalenza da una contaminazione dark ambient con influssi industrial,ma non disdegna nemmeno la lezione dei grandi maestri del genere quali Death In June o Sol Invictus. Ciò che viene fuori è un bellissimo mescolìo di generi diversi,che giocano a nascondino tra potenti muri di suono,una bellissima chitarra acuta e sognante ed una voce profonda e malinconica che fa di Lars un cantante unico nel suo genere. Ho scelto questo artista anche perché è uscito,a settembre di quest’anno,il suo nuovo album intitolato “The Lone Descent” (erano sei anni che non ne pubblicava uno),e quindi quale miglior modo per rendere omaggio a questo artista se non quello di recensire il suo ultimo lavoro?
Si tratta,ad un primo ascolto,di un album che segna inequivocabilmente la maturità artistica di Lars,e che conferma agli ascoltatori la sua passione per l’ambient industrial, che qui prende decisamente il sopravvento su tutto ed è il vero protagonista dell’opera. L’ouverture iniziale di “Sunspot”,potente,quasi non neofolk,tendente al sad-core, vede la voce malinconica del cantante mescolata a cori che fanno da muro di suono dietro al quale si accennano note di chitarra in lontananza. Parte anche da qui la struttura portante dell’intero album cioè la traccia unica che rappresenta:tutte le tracce,nessuna esclusa,si tengono per mano in un lungo,interminabile suono sospeso,che viene continuato da diversi strumenti e da diversi suoni dal primo fino all’ultimo secondo. Abbiamo,come già detto,il coro in questo primo pezzo;successivamente arriva il synth a riempire cupamente la seconda traccia,”Abscence”, terribilmente commerciale,da colonna sonora,con trombe in puro stile Soundtrack. Già dalle prime due tracce si capisce che è l’album più introspettivo della carriera del progetto, più cupo,con molti momenti intensi che prevaricano l’uso della chitarra tanto amata negli album precedenti,quel connubio voce cavernosa-suono cristallino che ne è il marchio di fabbrica,una prorompente scalata nell’ambient-industrial molto azzardata. Nuovo strumento introdotto è il basso,che cupamente rintocca attraverso i muri sonori.Procedendo, incontriamo i violini,anch’essi parte del grande mosaico del suono sospeso di cui parlavo prima.La quarta traccia porta un po’ di pietà per la chitarra che ritorna ad essere un po’ più protagonista,ma sempre accompagnata dal basso e dai soliti violini sostenuti. Grande sorpresa invece con la traccia 5, con una inaspettata melodia pericolosamente vicina all’indie di bassa lega (sarà che vedo l’indie dovunque, ma davvero quando l’ho sentita mi è parso di essere precipitato in un album degli Architectures In Helsinki); piano percosso che da un senso di semi-allegria che però si annulla nel vocione di Lars che riequilibra il tutto. Non di meno è la traccia più corta dell’album. Saltiamo questo imbarazzante intermezzo per tornare di nuovo nella “discesa solitaria” dell’album (come dice il titolo) per ascoltare il ritorno della chitarra,insieme alla marimba che accompagna l’oniricità del pezzo incollato anch’esso a quel suono sospeso grazie al flauto traverso. Arriva il synth di nuovo, a concludere e ad acutizzare questo sesto pezzo; non ci si accorge nemmeno che,guarda caso,la chitarra è scomparsa un’altra volta.Una sorta di oasi distensiva ma pur sempre malinconica e triste è il pezzo successivo,”Is It Out Of Our Hands”,dove Lars parla su un mare di violoncelli che cupamente continuano a tenere saldamente viva la sospensione di fondo,creando però una sorta di pausa dal generale clamore delle tracce precedenti. Sentore del vecchio stile ce lo da invece l’ottava traccia,con la splendida e rilassante chitarra di Lars che tanto mancava, macchiata dalla sua voce dura e sporca. La title track al nono posto tende quasi al rock sfigatello con accenni di ballata malinconica. Sentiamo il passato metal di Lars venire fuori, cosa che ha invece tenuto ben nascosta nei precedenti lavori. Sulla scia del secondo,altro pezzo che si può definire “commerciale”,da colonna sonora. Solo alla penultima posizione troviamo finalmente un pezzo dal titolo tedesco, “Immer Vorwarts”, e finalmente troviamo qui racchiusa tutta l’anima neofolk del progetto,che fa capolino dietro una breccia del muro industrial. Se pensate che sia una sorta di cesura per un gran finale non è così. L’ultima traccia non ha niente di diverso dalle precedenti,si tocca il fondo della discesa solitaria nell’animo di Lars in sordina,cupamente racchiusi da quel suono che ora si affievolisce e sparisce definitivamente.
Fa piacere sapere che un artista tanto apprezzato sia finalmente tornato in attività,e l’album non va assolutamente a deludere i fan accaniti che lo seguono sin dagli esordi. Ma questa nuova strada intrapresa dal cantante può alla lunga stufare. Un progetto come questo album è riservato solo ai veri intenditori,a chi ha le orecchie,diciamo così,abbastanza forti da sopportarlo,o a chi comunque è un fan del genere e ne accetta le novità sempre con benevolenza. Per concludere vi consiglio,se davvero volete avvicinarvi a questo bravissimo artista,di partire dai suoi precedenti lavori (che non sono tutti rose e fiori,intendiamoci,ma molto molto più orecchiabili rispetto a quest’ultimo lavoro) per apprezzare al meglio il suo stile tutto particolare,che intriga e riserva sorprese che sta a voi cercare di scoprire.
P.s. In basso ho messo i video delle tre tracce più rappresentative dell’album. L’ultimo dei tre, Abscence,non per niente utilizza le immagini di Taxi Driver,quasi a reinterpretarne la colonna sonora e a confermare le mie precedenti teorie.
Voto: (8 / 10)
Tracklist:
- Sunspot
- Abscence
- A Pyre Of Black Sunflowers
- Tear It Apart
- We Are Dust
- A Tomb Of Seasoned Dye
- Is It Out Of Our Hands?
- Watch The Skyline Catch The Fire
- The Lone Descent
- Immer Vorwarts
- A Song For Deaf Ears In Empty Cathedrals
bentornato!!!!! adesso però ci aspettiamo tutti un nuovo articolo entro metà 2012 😛
oddio si spero di riuscire a far di più prossimamente.