Camminando come mille altre volte con l’onestà nel cuore. Questi sono i Lyon Estates.
Era da quattro anni buoni che non mi capitava di rimanere a bocca aperta durante l’esibizione di una hardcore band fin dal primo colpo sul rullante e il primo respiro urlato fuori, entrando così in connessione perfetta con le sue note.
Sto parlando dei Lyon Estates, band un pò emiliana un pò svizzera un pò abbruzzese e un pò da ogni luogo; un incontro del tutto casuale ed inaspettato avvenuto il 7 luglio all’ Hardcore Contamination Festival a Trento…un piccolissimo festival che in cinque anni è ormai diventato una meta importante per gli incazzati e pellegrini kids di tutto il nord est.
A loro è toccato l’onere e l’onore di chiudere la scaletta del festival con un’energia sorprendente, viscerale e sincera come quella di un bambino testardo che si lancia a capofitto nella vita urlando il suo esserci senza compromessi dritto in faccia ad un mondo tutto da scoprire e che molto spesso non lo capisce, e i nostri in quella notte di luglio hanno fatto sentire forte e chiaro alle montagne, alla luna, agli amici e agli stronzi il loro esserci.
Quella che abbiamo avuto la fortuna di gustarci è stata la presentazione del loro nuovo sette pollici, uscito questo agosto con la complicità di Luca e Andrea degli Attrito (Trento Hc) rispettivamente con le loro Burning Boards ed Annoying Records, intitolato “Come mille altre volte” e che segue il loro primo lavoro del 2008 “O tutto o niente“.
La loro attitudine sul palco è stata fedele alla linea che segue il loro nuovo disco ossia quella di una rabbia potente. Rabbia scaturita dall’umano vivere immerso nella frustrazione accumulata nervosamente di fronte alle orecchie sorde dell’indifferenza, e che ci si infrange addosso violenta come un’onda di UN MARE CHE AFFONDA, traccia che apre le danze di questa nuova prova per il quintetto “…Quello in cui credevo non l’hai neanche mai saputo, sarà forse stato detto in un giorno poco attento…” e che ci porta alla deriva COME MILLE ALTRE VOLTE a saggiare la lacerante angoscia delle sconfitte che lasciano ferite, ma che l’orgoglio e la forza sanno rimarginare “…un’ombra divora la luce di una stella che ero e che non sarò più…Eppure avrei ancora vinto come mille altre volte, io non avevo provato l’amarezza del tramonto”.
Il tutto viene magistralmente condito con i sapori di un hardcore melodico tipicamente new school, ma che non fa a meno di strizzare l’occhio alla vecchia scuola dei Negazione di 100%.
La rabbia sale quando i nostri rivolgono uno sguardo sconsolato a CIO’ CHE RIMANE della nostra scena, descrivendo con gli occhi di uno stage diver le emozioni che essa sa dare e il valore che essa racchiude per chi la vive col cuore “…un teatrino di provincia, questa non è la mia scena. Proprio no, non è per questo che volo a due metri da terra…”. E non si spegne nemmeno quando va avanti NEL SUO TEMPO lasciando NIENTE DA SPIEGARE tra sbagli distratti e rimpianti, che non ci affondano pur facendo terra bruciata sotto i nostri piedi perchè “…Guardo con rispetto le macerie tra i miei passi, siano monito e avvisaglia in quei giorni un pò distratti. Non cercare sicurezze, pensa solo a stare vivo, ho camminato senza meta ma con l’onestà nel cuore…”
Una rabbia quindi che non si esaurisce in sè stessa, ma che viene impreziosita dal piglio naif dell’indignazione che porta alla catarsi dello spirito salvandolo dal giogo di qualsivoglia rassegnazione che serpeggia nei mille volti del quotidiano intorno a noi.
Chitarre pesanti, bacchette che sfiorano la velocità dei canadesi Belvedere, umiltà, e liriche ben oltre l’hardcore che sconfinano in poesia.
Una perla vera.
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