[INTERVISTA] Marco Cantini: l’Italia nel romanzo della Morante
Parliamo di Elsa Morante, parliamo del meraviglioso romanzo “La storia” che ha tanto fatto scalpore e diviso la critica letteraria contemporanea…
E parliamo di Marco Cantini, cantautore toscano reduce da un bel successo di numeri con il suo disco “Siamo noi quelli che aspettavamo”.
Un disco quello impegnativo, fatto di una canzone d’autore assai ricca di rimandi e citazioni, dedita al racconto di Andrea Pazienza e di quella Italia che attraversava la fine degli anni ’70. In attesa di un nuovo lavoro che presumibilmente uscirà in primavera, Cantini pubblica un singolo che sottolineano con interesse: “L’Orrore”.
Non la politica, nè la scena rivoluzionaria di contro-culturale e proletariato.
Questa volta si dipanano le prime pagine del romanzo della Morante in una forma canzone che però resta fedele alla linea del cantautore fiorentino.
Nel video di lancio che troviamo di seguito anche la bellissima Valentina Reggio già nota ai grandi schermi.
Una canzone ferma e ricca di spunti in una produzione assai efficace portata avanti dal musicisti e producer Gianfilippo Boni.
Di sicuro non un ascolto di sottofondo e l’intervista che segue ne dà degna prova:
“L’Orrore”, un estratto del romanzo di Elsa Morante “La Storia”. Ne hai fatto una canzone… Come mai questa scelta?
“L’Orrore” è una canzone che anticipa un intero concept album – che uscirà presumibilmente nella primavera del 2018 – interamente tratto dal celebre romanzo della Morante: è una scelta che parte da lontano, dalle mie letture giovanili, e che avevo in mente da tempo.
Il drammatico trascorso bellico dell’autrice (che nel libro portò anche il suo vissuto personale) è stato quello di un popolo intero, appartiene alla nostra storia che in fondo non è poi così lontana come può sembrare; come tale ho ritenuto fosse anche il proseguimento ideale di un percorso inaugurato dal precedente “Siamo noi quelli che aspettavamo”.
Dunque la canzone d’autore torna a fare anche storia, cronaca… Un ruolo che riconosci? Una bella responsabilità direi…
Una scelta che come dicevo avevo adottato nel mio ultimo lavoro, nel quale affrontavo soprattutto gli anni settanta e una cospicua parte delle loro avanguardie artistiche.
Stavolta tratteggio gli anni bellici e post bellici del nostro paese, racconto personaggi che appartengono ad un romanzo del 1974 ma che hanno la caratteristica – per me decisiva – di essere campioni di un meccanismo universale che è appunto La Storia, quella subita da milioni di vite e che innestò vicende che continuarono a premere sui sopravvissuti anche negli anni successivi, come l’effetto del fungo atomico.
Letteratura e canzone. Finalmente oggi i due fronti sembrano dialogare assieme. Sei d’accordo? Oppure pensi si debbano sempre tenere divise le due “discipline”?
Parto da una banalità: è ovvio che scrivere un libro non è la stessa cosa dello scrivere una canzone, per tante ragioni; la più evidente è che la musica influenza la parola: spostandola, cambiandola in modo da assecondare una melodia.
Sarebbe forse anche fin troppo semplicistico affermare che i testi della cosiddetta canzone d’autore sono ingabbiati, costretti dalla musica, a differenza della letteratura.
Anche questo non è del tutto vero, perché nessun processo creativo è mai totalmente libero, e le costrizioni – seppur diverse e di varia natura – ci sono per tutti.
Per quanto mi riguarda, mi piace provare a scrivere testi con la musica e mai per la musica.
E certamente non è un caso che molti artisti da me ammirati – non necessariamente in campo musicale – si nutrissero soprattutto di letteratura.
La canzone di Marco Cantini rispecchia un cliché assai poco di moda, lontano dalle caratteristiche cosiddette main stream. Si sceglie di aderire ad una certa linea stilistica oppure è un modo di essere anche nella vita di ogni giorno?
Di certo non è una scelta ponderata aprioristicamente.
È ciò che scaturisce dagli ascolti di una vita, dai modelli musicali che per me restano ancora oggi insostituibili punti di riferimento.
E quindi per chiudere: quali sono i nomi che hanno dato l’ispirazione al tuo modo di fare canzone d’autore?
Ci sono album ed artisti che mi hanno irrimediabilmente segnato, influenzato.
Credo che il livello più alto mai raggiunto dai cantautori italiani si sia registrato negli anni settanta.
Mi basta citare quattro nomi e otto dischi per me assolutamente ineguagliabili, capolavori che spesso riascolto con rinnovata emozione: “Ho visto anche degli zingari felici” e “Disoccupate le strade dai sogni” di Claudio Lolli; “Storia di un impiegato” e “Non al denaro non all’amore né al cielo” di Fabrizio De Andrè; “Radici” e “Via Paolo Fabbri 43” di Francesco Guccini; “Rimmel” e “Bufalo Bill” di Francesco De Gregori.
Link utili: Marco Cantini