SAVAGE: il ritorno in scena di Roberto Zanetti
Come producer e come autore, Roberto Zanetti, non ha mai smesso di darsi da fare portando a segno collaborazioni di firme prestigiose. Ma questa è la sua vita ordinaria, quella che colora e arricchisce la storia di Savage. Dopo quel famoso disco “Tonight” sembrava essere sparito dalle scene, Savage… ma eccolo tornare con un lavoro attesissimo dalla critica e dal pubblico affezionato a quel suono new-wave anni ’80. Si intitola “Love and Rain”, un bellissimo doppio vinile trasparente colorato pubblicato da DWA Records. E i tratti inconfondibili di Savage sono inevitabili, riconoscibilissimi, preziosi per quella testimonianza che vede anche la produzione italiana nel cesto delle grandi firme internazionali. Un disco di pop futuristico, d’amore e di speranza.
Il dietro le quinte di “Love and Rain”? Com’è stato prodotto?
Innanzitutto i brani sono stati scritti come si faceva una volta al pianoforte, quando una canzone “regge” nel formato piano e voce vuol dire che è bella. In un secondo momento ho fatto i primi demo al computer che poi oggi non sono più “demo” ma diventano l’ossatura della canzone vera e propria. Poi ho fatto un primo arrangiamento e registrato le voci in uno studio molto attrezzato, l’HOG Studio di Viareggio. Poi sono andato avanti con gli arrangiamenti in uno studio di un mio storico collaboratore Marco Canepa a Rapallo, il Woodbox Studio. A fine registrazioni mi sono accorto di non avere usato neanche una chitarra in nessun pezzo. Unici strumenti reali gli archi e naturalmente le voci.
Cosa ti ha spinto davvero a scrivere un disco nuovo di Savage?
L’affetto per il mio pubblico! quando sono tornato ad esibirmi in concerti live, nel 2005, ho trovato fan che mi ascoltavano da una vita, giornalisti e dj che mi intervistavano e la domanda ricorrente era “quando un nuovo progetto”. I social poi hanno fatto il resto, mi sono sentito in dovere di farlo, quasi per ringraziarli tutti, dopo così tanto tempo…ma è stato bellissimo, ho fatto un disco per me e per i miei fan, fregandomene delle mode e delle case discografiche.
Spesso leggiamo il tuo nome dietro molte produzioni importanti. Hai mai pensato di firmarti come Savage?
Sin dal primo disco ho diviso la mia carriera in due, con due nomi d’arte, Savage il cantante, Robyx il produttore/compositore, non mi è mai venuto in mente di mischiare i due “personaggi” perchè alla fine sono sempre io.
E lo stile di Savage in qualche modo è entrato in queste collaborazioni o hai lavorato perché l’impronta di Zanetti fosse diversa?
Il Roberto musicista alla fine è lo stesso e spesso un po’ del sound di Savage è venuto fuori anche in altri progetti. Tra i più recenti “ahum” e “shine” di Zucchero, se li ascolti vedrai che un po’ di Savage viene fuori…
Ormai sei un uomo di una carriera assai lunga e importante. Certamente siamo lontanissimi dal dover tirare le somme. Ma, pensando ad ora, cos’è la prima grande cosa che non rifaresti?
Rifarei tutto! Ho imparato che dagli errori più grandi viene sempre fuori qualcosa di positivo…quindi non ho rimpianti.
A chiudere parliamo di “Only You” che chiude questo disco come omaggio al tuo passato. L’hai arrangiata in altro modo… perché? Perché invece non restituirle i suoni che tutti conosciamo, magari con 35 anni di differenza?
Non mi piacciono le versioni rifatte simili all’originale, come dicevo prima se una canzone è bella lo è anche cambiando completamente l’arrangiamento. La versione con l’orchestra di archi le ha dato una connotazione diversa…sono sicuro che quando la eseguirò dal vivo sarà da pelle d’oca, conosco il mio pubblico, non vedo l’ora di farla….quando passerà questo “Virus”.
A proposito: dopo tutti questi anni, dopo mille rivoluzioni della tecnica, l’enorme facilità nel fare suoni e nel realizzare un disco, come colpisce l’ispirazione? Ti apre nuovi orizzonti o in qualche modo ti ammazza l’entusiasmo che forse nasceva proprio dalla sfida di non avere vita facile?
Come dico spesso nelle interviste ho una mia teoria da “Produttore”. Una volta si registrava avendo a disposizione 24 tracce, 16/18 per gli strumenti e il resto per le voci. C’erano pochi strumenti e tanta voce, per questo le melodie diventavano indimenticabili. Se ascolti Battisti sentirai una Voce… e poi strumenti che l’accompagnano. Oggi un progetto medio ha 150/200 tracce, un muro di suono che si mangia tutta la voce, alla fine viene sempre fuori un qualcosa di carino, ma non emozionante!
Gli artisti moderni che si ricordano di più sono quelli dove la voce rimane in primo piano, potrei nominare Billie Eilish o Ed Sheeran. Una volta per fare un suono di batteria ci impiegavi un giorno, oggi in un giorno fai una canzone completa! Ma con suoni che usano tutti, è per questo che i brani moderni si assomigliano. Io ho sempre amato la tecnologia e sono stato precursore i diverse occasioni, ma ritengo che la tecnologia deve stare ai nostri ordini, non ci deve dominare. La teoria del pianoforte è quella vincente, le canzoni si scrivono lì (o alla chitarra…naturalmente).