Marco Cantini: il romanzo della Morante, la sua canzone d’autore
Bellissimo questo nuovo disco di Marco Cantini. Bellissimo quanto difficile ed impegnativo. Bellissimo quanto impossibile da lasciar girare in sottofondo e aspettarsi che arrivi un buon ritornello a caratterizzarlo. Pubblicato dalla RadiciMusic – sempre attenta alla cultura e ai contenuti nonché all’estetica delle sue pubblicazioni – eccovi “La febbre incendiaria”, il terzo lavoro di inediti in studio del cantautore toscano. E facciamo un breve ma intenso passo indietro… Elsa Morante, 1974, uscita il celebra romanzo “La storia”. Ed è su questo tema portante che il nostro si concede il lusso di architettare e di tessere liriche e melodie eleganti e raffinate per raccontarci a modo suo questo libro. L’opera scritta diviene dunque un’istantanea che si fa musica che vede tra i tanti ospiti e collaboratori anche le colonne portanti di Francesco Moneti dei Modena City Ramblers ma anche Claudio Giovagnoli dei Funk Off e Gianfilippo Boni ormai un producer di riferimento della scena cantautore toscana. Una voce ed un modo di scrivere che sposa la semplicità e la cultura e che davvero si stacca dall’effimero apparire. Ancora una volta, dopo quel suo “Siamo noi quelli che aspettavamo” dimostra altezza e contenuti, qualità ed eleganza raffinata lasciando ai compromessi davvero poco spazio per agire e condizionare il risultato. Un disco bello anche da vedere con le opere pittoriche del padre, Massimo Cantini. Diversi i video che in rete arricchiscono questo disco…
Chi è Marco Cantini? Cantautore, cantastorie, cronista o letterato? O altro ancora?
Il termine cantautore non mi ha mai entusiasmato, e se posso cerco sempre di non abusare di questo sostantivo. Ma in effetti, credo che sia la parola italiana che più rappresenta ciò che faccio: canto canzoni di cui scrivo interamente testo e musica, e questo è inconfutabile.
Musica e parole… chi vince e in che modo? Come a dire: la tua è una canzone o una musica che riveste la parola?
Sono importanti in egual misura. Nonostante le mie canzoni abbiano spesso molte parole, per me l’aspetto musicale è assolutamente irrinunciabile (e credo che questo emerga con forza ne La febbre incendiaria). La melodia nel mio caso nasce sempre da subito con il testo.
Come hai scelto cosa raccontare di questo romanzo?
Direi che questa scelta, tra le tante legate al disco, è stata certamente tra le più semplici. Conoscendo molto bene il libro sapevo, già prima di cominciare a scrivere i brani, di chi e di cosa avrei raccontato per trasmettere in musica la mia interpretazione del romanzo. Ma non solo: sarebbe stato imperdonabile, da parte mia, non cogliere l’occasione di accennare all’esperienza di Davide Segre in fabbrica o alla fede anarchica del padre di Ida Ramundo. Per ovvie e sacrosante ragioni.
A lavoro finito ovviamente come non chiederti: ti sei accorto di aver tralasciato qualcosa di importante?
Attualmente non ho rimpianti legati a questo disco. È stato un omaggio sentito ad un’opera di straordinaria importanza, realizzato da un onnivoro di sentimenti, di libri, avvenimenti e battaglie quale credo di essere.
Stai già pensando al nuovo disco letterario?
Assolutamente no. Ripetere un’operazione del genere sarebbe quanto mai ridicolo: il mio fine non era ispirarsi pedissequamente a un classico della letteratura, ma sottolineare e fare mia una denuncia valida ancora oggi nel 2019.