[INTERVISTA] Lebowski: il grande futuro
Preparatevi ad ascoltare qualcosa che dai sobborghi della provincia italiana si fa forma e concetto che prova ad andare fuori dagli schemi.
Un nuovo disco dal titolo “Cura violenta” per i Lebowski che un poco fanno la parte dell’artista indie distorto e urlatore senza troppo badare alle melodie, un altro po’ dipingono le pareti di avanguardia digitale o comunque di costrutti assai poco banali e prevedibili…
E tanto poi, va detto che “Cura violenta” è un disco da cui aspettarsi anche l’estetica e il gusto di un buon ritornello.
I Lebowski insomma fanno tutto questo e bene anche, portando a casa qualcosa di prezioso che piace fin dal primo ascolto. Niente da invidiare a tanti anche se, come spesso capita, sono altri i nomi di riferimento… Gli stessi che tra un grido all’avanguardia e l’altro, coccolano il pubblico di santo Pop italiano. Che non ci fa schifo, sia chiaro, però neanche tradire così la coerenza… o no?
L’intervista a chi di coerenza ne ha da vendere…
Più che un messaggio, possiamo dire che questo disco a suo modo è una “Cura violenta” per l’avanguardia e quel certo modo di fare canzone?
[Simone] – Riguardo a questo ultimo album spesso ci è stato chiesto cosa ne pensavamo di avanguardia musicale o lo stile è stato accostato ad una qualche forma di musica d’avanguardia.
Sinceramente lo trovo strano, non perché questo ci dispiaccia, anzi lo sentiamo come un gran bel complimento, è che a dire il vero non ci avevamo pensato.
Semplicemente abbiamo composto dei brani in maniera sincera e personale e cercando di essere artisticamente onesti con noi stessi e con chi li avrebbe ascoltati.
Ci hanno definito pop, hard pop, rock, punk, funk, post-punk, insomma un po’ tutto e quindi un po’ niente.
Siamo soltanto stati noi stessi, poi se si rivelerà una “Cura Violenta” per l’avanguardia, beh… questo non può che renderci orgogliosi.
Eppure sono numerosi i momenti che tornare ad una forma canzone pop. Come mai?
[Riccardo F.] – In questo disco non abbiamo abbandonato la forma canzone anzi è il “format” che abbiamo utilizzato più spesso.
Fa parte del nostro DNA ed è parte integrante della nostra formazione artistica.
Ci piace la musica di estrazione pop e, inevitabilmente, attingiamo da essa.
Diciamo che con una tipologia di band come la nostra, la forma canzone può accompagnare solo.
Restando in tema: secondo voi l’avanguardia che sperimenta anche in modo estremo, ha un senso oppure è necessario sempre dare un punto di appiglio al pubblico?
[Nicola] – Ha senso! Tutto quello che è provocazione e rielaborazione/estremizzazione della forma ha senso nel momento in cui riesce a scuotere le coscienze e a far passare contenuti (ci sono tanti modi per farlo, e, tanto per citare un nome, il progetto Stregoni è uno di questi).
E’ l’ascoltatore che deve poi giungere alle proprie conclusioni, in base al suo background e alla propria sensibilità.
Certo è che ci sono delle età in cui si è più ricettivi e predisposti a farsi sorprendere rispetto ad altre…
Dal nostro punto di vista, senza certe frequentazioni, anche delle avanguardie, non saremmo riusciti a mettere in scena quest’immaginario musicale con la sua propria identità.
Poi altri musicisti possono pure avere una vocazione meno rivolta alla “personalità del linguaggio” e più orientata al conseguimento di una “carriera riconosciuta”, ma non crediamo sia sbagliato in assoluto.
E’ una questione di scelte.
La “Guernica” come uno scatto rappresentativo lo stato sociale di oggi. Dal punto di vista visivo, parlando della vostra copertina, il messaggio è ben reso.
Ma in questo disco assai corposo ed esteso, che spesso modifica la faccia e il suo suono di brano in brano, dove troviamo la vera chiave di lettura con cui ci racconta la vita attorno?
[Marco] Una chiave di lettura o, se preferiamo, un anello di congiunzione di questo corposo corollario di suoni e storie che si susseguono nell’album possiamo trovarlo nel brano “Animali nella notte”.
Questo brano, che non a caso abbiamo scelto come nostro secondo singolo con un video in prossima uscita, è quello che meglio richiama la copertina e che fa da punto d’incontro o “contenitore” per gli altre storie del disco.
L’album racconta di situazioni in cui c’è voglia di reagire e altre di fuggire, situazioni dove si ha paura di affrontare la realtà oppure la si affronta in modo estremo e cinico, in cui la società può essere un nemico che non ci fa respirare o ci costringe ad indossare maschere talvolta “animalesche”.
Tutto questo viene accompagnato da sonorità che proiettano l’ascoltatore in questo spazio scuro, notturno e vuoto di colori, a tratti inquietante e opprimente.
L’intento della copertina è trasmettere visivamente queste sensazioni, e crediamo, come dici tu, di esserci riusciti.
Che serva una “Cura violenta” per uscire dalla crisi sociale che viviamo?
[Riccardo L.] Servirebbe una dose violenta di cultura, nel senso più ampio della parola, somministrata coattivamente alla popolazione.
Purtroppo di violenza verbale e fisica ne abbiamo fin troppa, ed è estesa a tutte le classi sociali.
Ora più che mai abbiamo bisogno di promuovere una società partecipata, condivisa e matura, scevra dalla paura delle diversità che limita inevitabilmente lo sviluppo di un pensiero innovativo.
Occorre eliminare i preconcetti che ristagnano da troppo tempo ed avviare un percorso di crescita socio-culturale collettiva e anticonformista.
duraniano
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