[INTERVISTA] Marco Rò: un bellissimo viaggio da fare con un cantautore
Un nuovo disco prezioso come il valore di una cronaca e di un’inchiesta.
Perchè questo nuovo disco di Marco Rò ha proprio questi connotati qui.
Si intitola “A un passo da qui” ed è accompagnato sotto braccio dal lavoro giornalistico della compagna Laura Tangherlini sul dramma siriano.
L’uomo che fugge alla morte, l’uomo dell’immigrazione, l’uomo della fama e della povertà, l’uomo eterna vittima di guerra.
Nel disco la bellissima “Dune” segna il ponte artistico e concettuale che lega a se queste due grandi discipline, artistica e spirituale l’una, sociale e politica l’altra.
Un bellissimo ascolto, pulito, sincero, un pop italiano che si impreziosisce di messaggi importanti.
Canzone sociale o canzone d’amore? Come la possiamo inquadrare la tua musica? Occhio che la domanda non è tanto banale… nel senso che per parlare di grandi temi sociali significa anche parlare d’amore non trovi?
Assolutamente sì.
Nessuno può fare a meno di amare.
In un modo o nell’altro ognuno di noi è innamorato: di una donna, di un posto particolare, del proprio lavoro, delle proprie convinzioni, di un emozione, di un valore, nel bene e nel male. Ma la musica è musica, e non conosce etichette.
Ascoltando questo disco penso proprio che sia l’uomo al centro di tutto.
Poi viene la musica… che ne pensi?
Che hai colto nel segno.
La musica fa parte di noi, è un modo con il quale ci esprimiamo, ci riconosciamo a volte. Accade per chi la compone, per chi la suona e soprattutto per chi l’ascolta.
Non esisterebbe la musica senza l’uomo.
Certo che però un poco stona il singolo “Mosca mon amour” non trovi? Dopo un messaggio così importante…
E perché?
La vita, la musica è anche questo!
Credo sia importante comunicare messaggi positivi e costruttivi, e credo sia bello farlo anche con il sorriso sulle labbra.
Mosca Mon amour è una canzone che nasce a seguito di una lunga serie di concerti che ho avuto la possibilità di fare nella federazione russa, e che dice sostanzialmente: l’erba del vicino non sempre è la più verde.
Sentiamo dire spesso: “all’estero certe cose non succedono”, oppure “l’Italia ormai è un paese finito”.
Io penso che andare via non servirà a cambiare le cose.
Inoltre abbiamo un po’ giocato sugli stereotipi della canzone italiana nel mondo, e ci siamo divertiti molto a farlo.
E restando sull’argomento: ci sono momenti del tuo viaggio che col senno di poi avresti voluto sottolineare con maggiore importanza?
Al termine di un lungo lavoro come “A un passo da qui” c’è sempre qualcosa che vorresti cambiare, più e più volte.
Ma arriva un momento in cui è necessario mettere un punto, e lasciare che quelle emozioni che prima hai messo su carta e che poi la musica ha reso ancora più vive, prendano in un certo senso la propria strada.
Di ritorno alla normalità della vita… oggi questo disco, nella scena musicale italiana, come pensi venga accolto (anche in base ai riscontri che stai avendo da tempo)?
Sto vedendo un ottimo riscontro di base, e questo rafforza la mia convinzione che se una cosa è fatta davvero con il cuore, le persone lo comprendono e la apprezzano.
Io ci ho messo tutto me stesso, e credo che questo si percepisca in ogni singolo verso, in ogni singola nota.
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