RECENSIONE: Oh Lazarus – Good Times
“Good Times” trova le sue radici nell’old blues e nel country senza però finire nella mera rievocazione di genere ma contaminando le sue costruzioni con altri rimandi musicali. E’ un album che conserva dei buoni spunti e delle belle trovate che si avvicinano al pop; il tutto rende la proposta più attuale e godibile in alcuni passaggi. Tutto sommato l’intero disco si lascia ascoltare piacevolmente dimostrandosi anche interessante benché manchi di veri e propri squilli degni di nota.
Il vero punto che non convince è la voce, complice una pronuncia dell’inglese non sempre perfetta ed un cantato spesso cantilenante e alle volte troppo medioso (forse una scelta di produzione?), oltre a risultare troppo secca e priva di qualunque tipo di effetto. Gli strumenti, al contrario, si muovono alla perfezione e creano le giuste atmosfere: la batteria, ridotta all’osso nella sua composizione fisica e con l’aggiunta di percussioni da strada come le latte, regala un sound veritiero e particolare; le chitarre country-blues, che si alternano tra acustiche, dobro e lap steel, dimostrano ugualmente di padroneggiare appieno il suddetto genere. Passando in rassegna le tracce, “Good Times” sembra essere intenzionalmente sporco e storto, il migliore esempio che quest’album ci offre, riportandoci con la mente in un saloon di inizio secolo. Degna di nota l’aggiunta del clarinetto di Cecilia Merli. Buone anche le atmosfere di “Ball and Chains” che richiamano gli spiritual e rispecchiano l’animo del testo. Tra gli altri spiccano anche “Fangs“, grazie all’arrangiamento asciutto ed ai suoni acustici che simulano quelli di una batteria elettronica, e “Down” dallo spirito più moderno e pop che strizza l’occhio ai Depeche Mode.
Le cover, invece, vengono arrangiate e rivisitate bene ma alle volte suonano un po’ piatte come nel caso di “Come Up To The House” di Tom Waits dove viene a mancare il ritmo marcato dell’originale. Nel complesso è un buon esordio dove gli Oh Lazarus dimostrano che, partendo da un genere suonato e risuonato da più di novant’anni, si può trarre ancora qualche idea interessante. Il problema enorme del disco risiede però proprio nell’intera interpretazione canora; spesso smonta il contesto creato dal resto della band e non riesce proprio a stare al passo, pregiudicando inevitabilmente l’intera opera.
Remo Cruz
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Voto: (5,5 / 10)
Tracklist:
- Darlin’ Corey
- Good Times
- Ball And Chains
- Crow Jane
- Fangs
- Single Girl Again
- Come On Up To The House
- Down
- Sister Kate
- St. James Infirmary Blues