FILM DEL GIORNO: Still life
John May lavora come impiegato statale all’ufficio addetto al ritrovamento di un contesto familiare di persone defunte in completa solitudine. Svolge meticolosamente il suo lavoro cercando in tutti i modi di venire incontro alle esigenze di ogni essere umano. Per tagli ai fondi statali ed insensibilità verrà allontanato dal suo amato incarico. Nessuno ha mai amato tanto quanto lui la vita pur vivendola in completa solitudine.
I vivi hanno l’incredibile capacità di morire.
Le nostre anime sono sparse, ogni individuo vaga solitario, accanto ad un altro anche esso solo. Nessuna connessione eppure un legame non chiede parole. Come l’album di foto in questo racconto che il protagonista custodisce gelosamente, immagini di vite, perdute e ritrovate, persone provate o forse volutamente dimenticate. O magari, proprio come John, l’hanno amata profondamente questa esistenza, credendo con delicatezza nella bellezza dei sorrisi degli sconosciuti. John ha dato un’opportunità a tutti, perché tutti erano come lui, non erano soli, erano vivi, esistevano.
Il lavoro… quello inteso dai dirigenti o moralisti o opportunisti, termini come tanti altri… John May (interpretato da Eddie Marsan) non lo intende in nessuno di questi modi. Lui non lavora, ha l’opportunità di ricordare, di portare la vita agli occhi di chi non la vede. Non guarda gli oggetti con disinteresse, essi sono pezzi di vita vissuta da qualcuno che ha amato, odiato, rubato… Ama come sa di amare la propria esistenza e questo è tutto.
Fissiamo gli sguardi delle persone ma avvertiamo solo i nostri pensieri, nessuno ci appartiene, nemmeno più la nostra pelle. Vaghiamo isolati in compagnia di altri, già morti. Vivere è come non esistere. Solo dopo il trapasso la nostra presenza permane, nei ricordi e nelle voci un echeggiare.
Questo lungometraggio, uscito nel 2013, è delicatissimo e silenzioso. Di difficile lettura, guarda il mondo introspettivamente, quindi ognuno può interpretare il visibile e il proprio essere a suo piacimento. E’ pervaso da inquadrature tenui e statiche aiutate nel loro manifestarsi da asettiche architetture. La composizione musicale si percepisce con delicatezza, John è accompagnato quasi silenziosamente dalle note scritte da Rachel Portman.
I SILENZI AIUTANO A PENSARE, lo sceneggiato non è “lento” senza una motivazione. Questo termine ha acquisito un’accezione assolutamente errata. Hollywood ha ucciso il pensiero e un film come questo, dove non avviene assolutamente nulla di extra-quotidiano, è noioso agli occhi di chi è abituato a spegnere le sinapsi. E’ risaputo quanto sia difficile indagare ciò che ci circonda, ma purtroppo ci è dato dalla nascita e l’uomo ha la spiacevole capacità di fare l’abitudine a tante cose. Registi come Umberto Pasolini, oltretutto sceneggiatore e produttore di questo piccolo gioiello, sono in grado di cogliere le infinitesimali splendide crepe tra i secondi e di servirle su di un piatto d’argento a noi scimmie in involuzione che non solo non ci curiamo di vedere il film ma figurarsi di rifletterci su. Esistono animi gentili sul globo proprio come John ma abbiamo impegni maggiori durante la giornata, come ambire al successo, per potercene preoccupare. Mi curo di apparire e non riesco ad essere niente. Così la solitudine diventa necessaria ma anche l’unica vera barriera tra me e quello che desidero. Io non sono e non vivo, e non conosco davvero chi mi è intorno. Ma non fa solo questo l’uomo, è capace di trovare alternative piuttosto creative alla “routine”, come la violenza. Pensavo scaturisse da dinamiche sociali particolari, ora penso che nella maggior parte dei casi sia il manifestarsi di un cervellucolo vuoto senza alcuna alternativa di vita.
Alla morte avremo un epitaffio bellissimo. La mera apparenza in vita e i ricordi dei pochi veri momenti vissuti scritti su di un blocco di marmo.