FILM DEL GIORNO: Grand Budapest Hotel
“All’estremo confine orientale del continente europeo: L’ex Repubblica di ZUBROWKA”
“Si tratta di un errore molto comune. La gente pensa che l’immaginazione dell’autore sia sempre all’opera, che egli inventi costantemente un’infinita serie di avvenimenti ed episodi, che semplicemente immagini le sue storie partendo dal nulla.
Nella realtà è vero l’opposto. Quando le persone scoprono che sei uno scrittore, sono loro a portarti i personaggi e gli eventi. E fintanto che conservi la capacità di osservare e ascoltare con attenzione, queste storie continueranno a cercarti nel corso della tua vita.
A colui che spesso ha raccontato le storie degli altri molte storie saranno raccontate.
(Si stringe l’inquadratura)
Gli eventi che seguono mi furono descritti esattamente come li presento qui e in un modo del tutto inaspettato.”
Il Budapest Grand Hotel splendeva della sua ultima immensa decadenza, abitato da pochi malinconici solitari. Un anziano uomo (Murray Abraham) seduto su di una poltrona attira l’attenzione del contemplativo scrittore (Jude Law). Cenano insieme nell’ampio e silenzioso salone delle cerimonie dove dalla poesia dell’anziano Zero prende vita la grande storia.
Questo lungometraggio, generato dal genio dello sceneggiatore e regista Wes Anderson ed ispirato alle storie di Stefan Zweig, è un complesso rocambolesco andirivieni di personaggi misteriosi ed iperattivi.
La storia più o meno verosimile é narrata a ritroso su quattro diversi livelli di realtà.
Ai giorni nostri, la ragazza della scena iniziale porta alla statua commemorativa dello scrittore del romanzo “Budapest Grand Hotel”, una chiave d’albergo. Un probabile richiamo al contemporaneo futile ardimento che impieghiamo nel rendere oggetto i sentimenti, dei quali non si conosce che la forma. Nel 1985, lo scrittore anziano (Tom Wilkinson) narra di come è pervenuta a lui la storia del romanzo. Nel 1968, già periodo di decadenza del Budapest Grand Hotel, durante il mese di agosto, il giovane scrittore (Jude Law) incontra il vecchio proprietario dell’hotel (Murray Abraham). Infine nel 1932, periodo di massimo splendore e magnificenza della struttura, si svolgerà l’intera vicenda dei protagonisti Zero e M. Gustave.
Alla base di questo complesso schema si trova l’amore per la filosofia che Anderson sin dagli arbori lascia intravedere in ogni suo prodotto. Questo costante rimando ad un passato, sino ad arrivare alla radice più profonda della storia, è un modo articolato di svelare la realtà. Eliminare la costruzione del tempo per risalire alla sua originalità vera. Come per tutto lo scibile esistente, è impossibile trovare l’apice che ha dato la vita, ci sarà sempre qualcos’altro a cui fare rimando.
A rendere ulteriormente singolari le storie narrate, è la tecnica grandangolare in movimento smisuratamente innovativa. La macchina da presa attraversa stanze, corridoi, i piani delle abitazioni, come fosse un elemento onnisciente in grado di vedere oltre le possibili azioni umane. Eppure gli spostamenti di camera sono fissi sugli assi, salvo movimenti di zoom. La simmetria nel posizionamento dei soggetti è imprescindibile, teatrale. La fotografia è molto elaborata e composta. Pur essendoci uno spazio infinito tra il primo piano, il fondo e le pareti laterali, è possibile scrutare e comprendere ogni piccolo movimento sull’ultimo livello pur non essendo nitidamente a fuoco.
Essenza per l’anima.
Oboe