“Sui passi della musica – Angelo Branduardi”, intervento di Michele Brescia
Torniamo con lo speciale “Sui passi della musica“, conferenza organizzata dal Collegio Universitario Villa Nazareth di Roma nella località di Dobbiaco nei primi di agosto dello scorso anno. Vi ricordiamo che l’intera conferenza, organizzata dagli studenti del collegio, girava attorno ad alcuni dei cantautori che hanno fatto la storia della musica Italiana.
Questa volta è il turno di Angelo Branduardi, «cantautore, violinista, chitarrista e polistrumentista italiano», raccontato nei minimi dettagli da Michele Brescia. Buona lettura!
Angelo Branduardi – Il violinista di Dooney di Michele Brescia
In memoria di Carlotta Nobile
Il menestrello della canzone italiana. Un paggio rinascimentale calato nella nostra epoca da una macchina del tempo. Un giullare di corte con un timbro di voce inconfondibile. A guardarlo così, Angelo Branduardi, con la sua folta chioma riccia che resiste tenace allo scorrere degli anni, 63 per la precisione, sembra un folletto, un elfo tutto dedito al sollazzo e al riso, al gioco tout court.
Ed in effetti, se ci pensiamo un attimo, “suonare” in quasi tutte le lingue del mondo equivale a “giocare” (in inglese “play” comprende entrambi i significati). Nel caso di Angelo Branduardi, violinista, per volere del padre, un vero e proprio melomane, verdiano accanito, prima ancora che cantante, si deve parlare però di un gioco molto serio. Seria, approfondita, meticolosa è stata infatti la sua ricerca artistica, tutta protesa alla riscoperta di storie, leggende, anedotti, e soprattutto musiche, lontane nello spazio e nel tempo. Branduardi, Bardi agli inizi della carriera per imposizione, l’unica subita passivamente dal cantautore, lombardo di nascita ma genovese d’adozione, della prima casa discografica, probabilmente ha introiettato questa curiosità senza confini, priva di barriere e pregiudizi ideologici, dalla grande varietà umana con la quale è entrato in contatto nella zona dell’angiporto di Genova, zona di frontiera, nella quale il giovane Angelo ha coltivato la passione per la musica e per l’uomo in quanto tale. “Pagina nostra hominem sapit”: la massima di Marziale potrebbe benissimo adattarsi alla poetica di Branduardi, un artista interessato prima di tutto alla caleidoscopica umanità di cui ha raccontato gesta e azioni esemplari. Se si scorre la sua discografia, possiamo imbatterci nel rivoluzionario argentino Che Guevara, nel poeta russo Yesenin, in Francesco d’Assisi (al quale è dedicato l’intero album “L’infinitamente piccolo”: un album che ha richiesto una certosina analisi delle fonti francescane), in san Filippo Neri (come dimenticare la colonna sonora del film “State buoni se potete” di Luigi Magni, che con le musiche composte per “Momo” di Michel Ende, costituisce una delle prove più felici per inventiva e originalità dell’intero corpus branduardiano…) ed infine nel grande poeta irlandese William Butler Yeats: figure lontanissime tra di loro che il violinista dalla folta chioma riccia ha saputo cantare, mettendone in risalto i segreti intimi del cuore e dell’animo, facendo emergere quelle verità universali comuni ad ogni uomo.
Vite straordinarie cantate con una tecnica vocale che risente molto della formazione da violinista, con una ricerca delle sincopi, della velocità nell’intonazione vocale che ha fatto di Branduardi uno degli interpreti più caratteristici dell’intero panorama musicale italiano ed internazionale. Una volta un giornalista lo paragonò all’”aglio, capace di suscitare un gusto estremo, facilmente riconoscibile, che piace molto o fa assolutamente schifo”. Ed infatti, Branduardi sembra riscuotere maggior successo in Francia e in Germania (financo in America Latina: basti pensare all’omaggio riservatogli dal gruppo cileno degli Inti Illimani) piuttosto che in Italia, dove la sua carica emotiva, ai limiti dell’isterismo, addolcitasi negli anni, ha suscitato ilarità piuttosto che sincera ammirazione. Ma, proprio come gli ripeteva spesso il suo maestro, “il talento senza il carattere non serve a niente”; e così Branduardi ha perseverato nella sua ricerca così lontana dalla leggi del mercato discografico, una ricerca culminata nel progetto “Futuro Antico”, che ha prodotto diversi album tutti dedicati alla poesia e alla chanson medievale e rinascimentale.
Un percorso artistico, quello di Angelo Branduardi che probabilmente non avrebbe potuto trovare una sua ben delineata cifra stilistica senza il fondamentale supporto di Luisa Zappa, compagna nella vita, così come nell’avventura discografica: anglista, studiosa di letteratura europea, scrittrice, Luisa ha fornito testi sublimi alla musica straordinaria composta da Angelo.
Proprio alcuni versi del grande poeta irlandese William Butler Yeats, tradotti da Luisa Zappa, fornirono a Branduardi una materia prima di inestimabile valore. Era il 1986: Branduardi pareva essere entrato in una crisi che aveva inaridito la sua, fino ad allora, brillante vena artistica. Il violinista che aveva stupito la critica per la ricercatezza della sua musica, ricca di contaminazioni non riconducibili ad un preciso genere musicale, sembrava incapace di tornare ad incantare il suo selezionato pubblico. Ci volevano i versi di un grande poeta come Yeats per risollevare le sorti di Branduardi.
Ed è alquanto curioso scoprire che una recensione, apparsa nel 1919 su “Times Literary Supplement”, paragonò il poeta Yeats ad un violinista, proprio come lo era Branduardi: “Yeats è come un suonatore di violino che prenda il suo vecchio strumento ricoperto di polvere, e suoni pigramente un vecchio motivo, o quello che sembrava un vecchio motivo, ma con variazioni. Lo abbiamo sentito tante volte, eppure improvvisamente diventa nuovo come l’alba o come il lume della luna”. Yeats, poeta legato indissolubilmente alla sua terra, l’Irlanda, fondatore del movimento letterario Irish Literary Revival nel 1904, premio nobel alla letteratura nel 1923, profondamente interessato al misticismo e allo spiritualismo, tanto da diventare con lo pseudonimo di Festina Lente, uno dei primi membri della società segreta inglese magico-iniziatica di ispirazione rosacrociana nota come “The Hermetic Order of the Golden Dawn“, diventava così una sorta di alter ego per Branduardi.
In particolar modo un brano tratto dall’album “Branduardi canta Yeats” diventa il manifesto della resurrezione di Branduardi come artista capace con la propria musica di sanare le proprie ed altrui afflizioni dello spirito.
Proprio come “Il suonatore Jones“, altro personaggio letterario reso leggendario prima dalla penna di Edgar Lee Masters, poi dalla musica di De Andrè (nell’album “Non al denaro, non all’amore nè al cielo” un altro capolavoro di quello straordinario binomio musica-letteratura che ha segnato il cantautorato italiano), anche il “Violinista di Dooney”, titolo del brano che ci apprestiamo ad ascoltare, rappresenta la capacità di assumere su di sé, di rielaborare e trasfigurare i problemi e le angosce del proprio mondo, con il potere dionisiaco e liberatorio della propria musica. Da musicista, il vilonista di Dooney accetta le aspettative della gente: gli tocca suonare per tutta la vita, fino a quando “noi ci presenteremo a Pietro”, ma è un ruolo sociale che coincide con il suo modo d’essere, con la sua vocazione, la sua missione: quella di far ballare la gente come le onde del mare, in un moto di autentica libertà.
Il vilonista di Dooney mostra di saper guarire, più del fratello e del cugino sacerdoti, gli animi di chi lo ascolta regalando un sorriso; gusta appieno la vita, facendo della sua arte un servizio per gli altri. Il violinista di Dooney, dietro il quale si celano Yeats e Branduardi, sembra dirci che il modo di dare senso ad un’esistenza inevitabilmente precaria è quello di essere disponibile alla vita, dedicandola alla ricerca di una libertà immateriale, nascosta là dove i pensieri e i gesti non sono protetti da nessun “filo spinato”, ma si sviluppano nella condizione della possibilità infinita. Solo in questo modo la vita è lieve e pura, come un ballo in campagna, come un ricordo di giovinezza, una melodia di violino suonata “alla fiera di Sligo”, città della madre di Yeats, luogo che più di ogni altro per la sua atmosfera fortemente simbolica ha influenzato la vita e l’opera del poeta irlandese. Soltanto così si può leggere indifferentemente in un libro di preghiere come in un libro di canzoni: perchè entrambi hanno come fine ultimo l’elevazione dello spirito, strappato alla materia contingente.
Link utili: Collegio Universitario Villa Nazareth | articolo Sui passi della musica – Giuni Russo | Angelo Branduardi (Wikipedia)