Duchamp, ri-fatto ad arte by XantiSchawinsky87
Partiamo da una stella; d’altronde, incipit più calzante per il mio primo intervento su Radio Interstella non potevamo trovarlo. Partiamo, dunque, più precisamente dalla tonsura a forma di stella di un Duchamp ritratto di spalle, con una pipa in bocca (quella sì che è una pipa!), immortalato da Man Ray, compagno di tante (dis)avventure, a partire dai primi esperimenti di cinema in 3D, realizzati con lastre di vetro rotanti, una delle quali, saltando dal marchingegno rudimentale, quasi attentò alla vita del fotografo statunitense nel 1920. Una stella che, posta sulla testa, sede del pensiero, di colui che rivoluzionò l’arte del XX secolo, ne indica l’originalità della ricerca, approdata, in anticipo di qualche decennio, ad una forma primordiale di Body Art. Questa ed altre fotografie, insieme con le riproduzioni dei suoi celeberrimi ready-made e gli schizzi preparatori di una delle opere più enigmatiche del Novecento, La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche o più semplicemente Grande vetro, costituiscono il fiore all’occhiello della mostra allestita alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma dal titolo Duchamp. Re-made in Italy, curata da Stefano Cecchetto, Giovanna Coltelli e Marcella Cossu, in programma fino al 9 febbraio.
L’omaggio all’artista che per primo stabilì il primato dell’idea, alla base del concepimento di un’opera, sulla sua effettiva realizzazione, negando l’autorialità e l’autenticità ad essa connesse, vuole celebrare l’anniversario di due eventi importanti nella biografia di Duchamp: il centenario dalla creazione, o meglio, dalla decontestualizzazione, del primo ready-made, Ruota di bicicletta del 1913, e il cinquantesimo dal suo viaggio in Italia, avvenuto nel 1963, un lustro prima della morte avvenuta nel 1968, l’anno della deflagrazione della contestazione studentesca. Una mostra, quella della Gnam, che intende assegnare anche un doveroso riconoscimento a Dino Gavina, il designer che nel 1965 curò la prima rassegna italiana dedicata a Duchamp, ma soprattutto ad Arturo Schwarz, l’ultimo dei surrealisti, dalla collezione del quale proviene la maggior parte delle opere annoverate nel catalogo della mostra.
Non solo: l’esposizione romana intende anche ricostruire le vicende legate agli epigoni italiani di un artista, Duchamp, che nel 1918, firmò la sua ultima opera, Tu m’, per dedicarsi a tempo pieno al gioco degli scacchi, un divertissement, ma molto serio, protagonista della sua produzione a partire dalle opere giovanili, ancorate a linguaggi neoimpressionisti e cezanniani, come Paysage a Blainville del 1902, presente in mostra. Ecco allora sfilare davanti agli occhi del visitatore tutta una serie di lavori che testimoniano l’eredità della verve dissacratoria del pensiero duchampiano, raccolta da artisti come Baj, Vaccari, Fioroni, Patella ed, in special modo, Baruchello, il quale ebbe un contatto diretto con Duchamp, al punto da ospitarlo presso la sua dimora romana: come ricordo di quel soggiorno, l’apripista dell’arte concettuale gli donò la sua valigia, che, dai curatori, è stata posta all’inizio della mostra ad inaugurare il percorso espositivo. Un’altra valigia, d’altro canto, chiude la rassegna romana: trattasi di un esemplare della serie numerata di valigette da viaggio, contenenti riproduzioni fotografiche e repliche in miniatura dei capolavori dell’artista francese naturalizzato statunitense: Boite en valise, un vero e proprio museo portatile, una summa in formato bonsai della poetica di Duchamp, acquistato nel 1970, presso il gallerista romano Gaspero del Corso, da Palma Bucarelli, storica direttrice della Gnam, nonché una delle personalità del mondo della cultura italiana più interessanti del Dopoguerra.
Due valigie, dunque, di formato e di destinazioni diverse, che rimandano, ad ogni modo, al tema del viaggio: Parigi, Buenos Aires, New York, dove definitivamente si stabilì nel 1942, riscuotendo fin da subito un clamoroso successo, sono infatti solo alcune delle metropoli toccate dal genio, originario dell’alta Normandia. Un genio multiforme capace di costruirsi vite parallele mediante l’utilizzo di pseudonimi, costruiti con sapienti giochi linguistici. È il caso di R. Mutt, firma apposta sul celebre orinatoio, esposto assieme agli altri memorabili ready-made nella sala più suggestiva della mostra: una identità fittizia, un avatar ante-litteram, passato alla storia per essere l’autore di una delle opere più dissacranti del Novecento.
XantiSchawinsky87
Link utili: Galleria nazionale d’arte moderna di Roma | Come arrivare
Duchamp – Re-made in Italy