Questa giovane progressive band inglese che si porta dietro un ristretto seguito di fan fin dal 2010, anno di uscita del loro primo album, Aquarius, é tornata qualche mese fa a stupire gli amanti del prog con il suo ultimo lavoro. THE MOUNTAIN. Prodotto questa volta (non che sia una gran sorpresa) dalla Inside Out Music. Ebbene si, anche loro hanno fatto quello che si suol dire “il botto”. Che dire!? The Mountain è esattamente quello che ci si aspettava . Un album potente, elaborato e dalle sonorità che ricordano diversi gruppi storici del genere. Primi tra tutti, i leggendari Gentle Giant, per poi arrivare fino ai contemporanei Porcupine Three ed ai Dream Theater di qualche anno fa, ri-arrangiati in chiave puramente anglosassone.
The Path è il brano introduttivo e si presenta proprio per quello che è: ovvero una piccola intro, molto ben interpretata da Ross Jennings, ad un album pieno di sorprese stilistiche e cambi di marcia. Atlas Stone, la seconda traccia, con i suoi riff che sconfinano nel paranormale, mette subito in chiaro che stiamo parlando della stessa band che ha messo su pezzi come Visions e Shapeshifter, appartenenti alla tracklist di Visions (2011). Ma è solo con la terza traccia che si riesce ad apprezzare in toto l’album.
The Cockroach King, da solo, rappresenta un compendio musicale del prog. Geniali le ritmiche, geniali gli arrangiamenti, geniali i cori a cappella, ovvio tributo a band come Queen e Gentle Giant. Riff potenti ed interludi jazz finiscono il lavoro. Se si dovesse scegliere un pezzo che rappresenti l’intero full-lenght sarebbe senza ombra di dubbio questo.
In Memoriam è un pezzo relativamente corto considerando la durata media dei brani. Stesso discorso vale per il successivo Because It’s There; questi due brani, seppur più brevi, rivelano una struttura davvero ben pensata ed elaborata e ricordano decisamente alcuni approcci stilistici dei Porcupine Three. Falling Back to Earth è il pezzo più lungo dell’album, quasi una suite, un tipo di costrutto che non è mai mancato in nessun loro lavoro in studio. Anche qui le influenze sono innumerevoli, per citarne un paio, i King Crimson ed i Flower Kings. As Death Embraces comincia, come the Path ed In Memoriam ,con un solo vocale su tastiera. Tuttavia poi si rivela essere, a differenza degli altri, interamente un cantato su pianoforte. Molto emozionante dall’inizio alla fine: riporta molto a quell’ambient cupo tipico dei Pain of Salvation. Ottima scelta per introdurre Pareidolia, titolo decisamente azzeccato. La Pareidolia, per chi non lo sapesse, è quella simpatica tendenza che ha il nostro cervello a ricondurre figure completamente astratte e/o casuali a forme e profili conosciuti. Come quando guardiamo le nuvole e ci vediamo pecorelle, animali di ogni sorta oppure un dito che ti manda a quel paese. Ebbene la canzone rappresenta proprio questo. Mettere ordine nel caos attraverso conoscenze pregresse. Insomma, i riff malati e distorti non mancano, ed anche questo brano, come il precedente, rievoca una figura in particolare che è quella dei Pain of Salvation dei tempi di “Be” (2004) . L’ultima traccia, Somebody, chiude l’abumsu un ritmo meno sostenuto ma molto ben cadenzato. Perfetto.
Lo so. Da quello che ho scritto sembra che l’album sia solo un’accozzaglia di, forse, troppa roba. Da un certo punto di vista è cosi: ma state ben attenti a salvaguardavi da giudizi troppo affrettati. Gli Haken dimostrano una cultura ed una consapevolezza musicale imparagonabile. La cura del sound ci da un’ulteriore prova dello spessore della loro preparazione artistica. La Band è straordinaria, dei veri musicisti con la M maiuscola, ma probabilmente, al loro terzo album, devono ancora trovare un sound che appartenga del tutto a loro. E ci sono vicini, lo si sente chiaramente. Ad ogni modo, The Mountain, come Aquarius e come Visions (2011), appartengono a quella cerchia di album obbligatori da ascoltare più e piu volte. In essi c’é un po’ tutta la storia del prog passato, presente e (spero) futuro. Un capolavoro sfiorato.