RECENSIONE: Alter Bridge – Fortress
Sul web e sulla carta stampata di questo disco ormai si è letto e scritto tantissimo. Il tour dei 4 ragazzi di Orlando è partito a suon di sold out, e noi di Interstella non ce lo siamo fatti scappare, andando ad accaparrarci un bel live report. L’album uscito infatti il 25 Settembre scorso ha esordito al numero 1 negli States portando ad Addicted to Pain una mole notevole di passaggi radiofonici, cosa che non mi stupisce affatto.
Negli ultimi anni infatti gli AB sono riusciti a dare nuove fondamenta alla loro popolarità riuscendo ad incidere in termini di vendite soprattutto sulle generazioni meno datate , sempre alla ricerca di sound che possano coniugare esplosività e melodia. Questo spiega totalmente il successo assoluto di ABIII , che è riuscito a vendere ben 8 milioni di copie, nonostante fosse, e sia tuttora ritenuto, il disco peggiore della band da critica e fan storici.
Un pò ovunque si ha la distorta impressione che a poter parlare di questo disco possano essere soltanto i fan sfegatati e appassionati di genere , più che di musica in generale. Questo porta a considerazioni inevitabilmente di parte e sbagliate che rendono fuorviante l’interpretazione di questa uscita discografica per chi, magari, segue marginalmente la band, pur apprezzandone le qualità. Una prima considerazione oggettiva che si può fare, senza dare spazio ad interpretazioni strettamente personali, è che Kennedy e soci hanno fatto loro il detto ” squadra che vince non si cambia “. Infatti il produttore Michael “Elvis” Baskette resta al proprio posto ( collabora con la band da “Blackbird”) ed al mastering viene riconfermato Ted Jensen ( già impegnato in “ABIII”). La conseguenza quasi ovvia di queste scelte è che l’album suoni esattamente come il precedente. Si ha la sensazione che gli amplificatori non siano mai stati spenti, i microfoni mai spostati e perfino le bacchette del batterista mai sostituite. Se però il terzo disco della band era carente sotto il punto di vista del songwriting stavolta Tremonti and co. fanno di meglio, partendo da materiale di qualità indubbiamente superiore su cui lavorare.
Dunque una cosa che si può dire con assoluta certezza è che sostanzialmente gli Alter Bridge hanno volutamente ( 8 milioni di copie vendute non si possono ignorare) replicato per filo e per segno il sound di ABIII (confermando il solito clichè del musicista rock che dichiara – il prossimo album sarà leggermente diverso dai precedenti- e poi sforna un copia/incolla) su nuovo materiale scritto durante questi 3 anni di tour e progetti solisti. Il motivo per cui “Fortress” funziona di più se letto da un punto di vista critico è che semplicemente ha una base più solida, costituita da pezzi oggettivamente migliori (Cry of Achlles, Addicted To Pain, Lover e Fortress sono indubbiamente brani sopraffini, e molti altri riescono comunque ad incidere in maniera decisiva sul disco, cosa che non accadeva in ABIII). Facendo un riassunto dei miei pensieri identifico sicuramente il songwriting come punto di forza di questa produzione.
Tuttavia, e qui arriva una necessaria riconsiderazione globale della band, ormai parliamo di un progetto arrivato al quarto disco e che non ha mai avuto la forza necessaria per evitare di auto-riciclarsi ad ogni album o per proporci qualche idea in grado realmente di innovare questo genere, che come affermavo in una recensione fatta tempo fa, avrebbe bisogno di uno scossone da suoi maggiori esponenti per riuscire quantomeno a cominciare una sorta di evoluzione. Se andiamo a considerare le carriere delle band che sono riuscite a sopravvivere realmente alla prova del tempo ci accorgiamo subito della presenza di evoluzioni forti di stile o sperimentazioni più o meno riuscite, ma comunque rischiate. Gli Alter Bridge restano a suonare dove si vendono i dischi, ed è chiaramente una scelta voluta e non frutto del caso e dell’ispirazione come gli stessi membri della band cercano di farci credere. Si parla di una mirata scelta di marketing ; anche One Day Remains era stato un successo di vendite ma la band ha comunque azzardato una virata di stile (portando Myles Kennedy ad essere molto più di una chitarra d’accompagnamento, sfornando quello che poi resta il suo album migliore, Blackbird) pienamente riuscita. E’ chiaro che ora ci sono interessi in gioco esponenzialmente più grandi e non si può rischiare di perdere quanto conquistato meritatamente e con fatica.
La musica però , più d’ogni altra professione, insegna che non si può vivere di rendita. Non fraintendetemi , gli AB sfornano un disco concepito, suonato, arrangiato, prodotto e masterizzato alla perfezione. Una produzione in cui non viene fatto nulla di nuovo, ma viene fatto tutto straordinariamente bene. Tuttavia ad un certo punto, quando si comincia a considerare una carriera più che decennale, qualcosa va cambiato, o si rischia un flop clamoroso (Bob Rock e St. Anger vi dicono qualcosa?). Non mi stupirei infatti, dal prossimo album, di vedere qualche sostituzione in questa squadra che per ora è una macchina straordinaria di vendite, in un periodo in cui non solo il rock duro fa fatica a spopolare, ma il cd diventa un vero e proprio cimelio.
Intanto gli Alter Bridge restano nella loro fortezza: le crepe di AB III sono finalmente un lontano ricordo e la città sembra più sicura che mai. Quanto può durare?
Link Utili: Alter Bridge
Voto: (7 / 10)
Tracklist:
- Cry of Achilles
- Addicted to Pain
- Bleed It Dry
- Lover
- The Uninvited
- Peace Is Broken
- Calm the Fire
- Waters Rising
- Farther than the Sun
- Cry a River
- All Ends Well
- Fortress
Formazione:
- Myles Kennedy – voce, chitarra ritmica e solista
- Mark Tremonti – chitarra solista e ritmica, cori; voce in Waters Rising
- Brian Marshall – basso
- Scott Phillips – batteria, percussioni