ALBUM DEL GIORNO: Opeth – Ghost Reveries
Oggi si parla di loro, gli Opeth, che negli ultimi vent’anni mi hanno regalato (e spero abbiano regalato anche a voi) emozioni indimenticabili. Inventori, o comunque precursori di quel genere denominato successivamente “progressive death metal” gli Opeth hanno fatto scuola, rientrando nella cerchia delle band più influenti del panorama death metal del nuovo millennio. L’album di cui parlo oggi non è una nuova uscita, ha visto la luce circa otto anni fa, ma mi sembra doveroso spendere due parole per farlo conoscere a voi interstellari.
Come per tutti i più grandi gruppi arriva un momento in cui si decide di salire di livello, e “Ghost Reveries” segna un punto di svolta nella carriera del quintetto scandinavo che li ha portati oggi giorno ad orientarsi verso sonorità più progressive (si sentano i successivi “Watershed” 2008 ed “Heritage” 2011) rispetto al death metal duro e oscuro degli esordi. Il disco apre con la prepotenza di “Ghost of Perdition” dove vediamo per la prima volta l’introduzione del tastierista Per Wiberg, che si sposa in un’unione indissolubile con le chitarre di Mikael Akerfeldt e Peter Lindgren e che vede il suo apice nella successiva “The Baying of the Hounds” (tra l’altro citazione di un verso di una canzone dei Camus) che crea un mondo parallelo dove il death metal si suonava negli anni ’70 tra organi Hammond e Mellotron.
Dopo un’orientaleggiante “Beneath the Mire” troviamo la romantica “Atonement”, sognante, irreale , quasi diafana con la stupenda linea vocale che diventa trasparente insieme al mellotron di sottofondo che ne ricalca perfettamente le note. Legata da un intermezzo acustico arriva la canzone che secondo me rapprestenta il culmine stilistico dell’intero album: “Reverie/Harlequin Forest” è un fiume in piena di riff rocciosi e violenti accompagnati dalle melodie vocali dolci e malinconiche che solo il buon Akerfeldt sa regalarci, e arpeggi acustici che ricalcano le atmosfere surreali di “Atonement”. Il Trittico finale è rappresentato da “Hours of Wealth”, “The Grand Conjuration” e “Isolation Years”(a detta di Akerfeldt “La canzone più bella mai scritta dagli Opeth”), alternando due canzoni melodiche, lente e malinconiche all’atmosfera doom di “The Grand Conjuration” , usata come primo singolo per la promozione del disco.
Gli Opeth mi hanno insegnato tanto, mi hanno fatto sognare e scapocciare sin da quando ero un imberbe pulzello, rappresentano per me una pietra miliare della “vera” musica contemporanea ed anche se questo album non è una nuova uscita vale la pena parlarne e scriverne perchè, senza dare uno sguardo al passato, diventa molto difficile capire il presente ed il futuro.
Una band eccezionale che ha dimostrato ancora una volta le potenzialità racchiuse nella “scuola musicale” svedese 🙂 A mio parere però i due migliori album degli OPETH sono “Still Life” e “Damnation”; questo “Ghost Reveries” (forse anche perchè troppo osannato da recensori di tutto il mondo) non mi ha totalmente convinto
In realtà lo vedo molto più come il raggiungimento di un traguardo maturato a seguito degli album che hai citato.
Per affetto il mio preferito in assoluto è addirittura “Orchid”, da un punto di vista esterno e più oggettivo “Ghost Reveries” è stilisticamente molto più maturo, e pieno di soluzioni armoniche e tecniche che non si trovano negli album precedenti (non per questo più o meno belli).