Kleingott: menestrello di polvere e ruggine
Kleingott è un progetto apocalyptic folk italiano nel quale sono incappato veramente per caso. Fortunatamente non smetto mai di cercare e ricercare nel torbido della scena italiana, quella che davvero in pochi conoscono e che tento sempre di mettere in luce come posso nei miei articoli. Non sarebbe stato altrimenti facile scovare questo ragazzo, ora romano in pianta stabile, ma proveniente dall’Appenino Lucano. Non mi sforzerò neanche di darvi un quadro generale della sua concezione di fare musica e del suo background culturale, perché voglio lasciarlo fare direttamente all’artista con le sue parole tratte dalla biografia che si può leggere sul sito ufficiale del progetto:
“La musica di Kleingott è nata come un gioco e continua a crescere come tale” […] Per definizione, mi piace chiamarla apocalyptic folk, anche se potrebbe trovare ostilità da parte dei puristi del genere, e le molte persone che si aspettano di trovare qui una variante italiana di Current 93. Questa è la definizione che semplicemente mi piace e che crea l’idea della musica che suono, senza riferirsi a nessuna classificazione di genere pre-esistente: ciò che scaturisce da Kleingott è, lo vogliate o no, qualcosa che assomiglia principalmente a quello che sono. Questo è tutto. […] Sono nato nei primi anni Ottanta in un piccolo villaggio dell’Appennino Lucano ed ho vissuto lì fino all’alba del nuovo millennio. Forse porto realmente dentro di me quel dualismo cosmico tra montagna e città, folk contro punk, Eden e Armageddon. […] Comunque sia, al contrario di quel che si dice, sono abbastanza sicuro che una persona possa suonare Neofolk senza essere fascista: una persona può anche vivere la sua intera esistenza senza lottare contro o nel nome di qualsiasi dannata cosa, ma magari solamente scrivendo, suonando e vivendo la propria musica.”
Ho voluto fare questa lunga citazione perché si tratta, a mio parere, di parole molto importanti, che mettono a nudo la semplicità e l’umiltà di questo ragazzo: nessuna voglia di essere etichettato, semplicemente di voler tradurre in musica il proprio io più nascosto; il dualismo persistente tra sonorità eteree prettamente folk mescolate ad elementi più duri legati al suo passato da crusty punk che, come vedremo, pervadono le sue produzioni in studio; il pensiero che si sposa, ormai lo saprete, con il mio per quanto riguarda la tendenza a relegare un movimento underground come il neofolk alla scena destrorsa e fascista da parte della massa ignorante. Una persona veramente straordinaria, come straordinaria è la sua musica.
Kleingott nasce nel 2011 con la prima demo ufficiale intitolata “Killroy Was Here!”, seguita poco tempo dopo dal primo LP ufficiale cantato interamente in italiano, “Il Sogno di Erostrato”, un inizio di carriera decisamente crudo, oscuro e claustrofobico. Il raw della registrazione vocale, assieme alla chitarra dal suono ferruginoso che contraddistingue il marchio di fabbrica del progetto, ai violini synthetizzati, ai baluginii di chitarre elettriche, creano un tappeto polveroso e cupamente intimo sul quale scorrono i testi onirici di Gerardo, dissolti sapientemente nel rugginoso tutt’uno dell’album, costringendo l’ascoltatore a ricercarli nei pericolosi anfratti di ogni nota.
La carriera di Kleingott non si ferma qui ed è proprio di quest’anno l’uscita dell’ultima fatica in studio, “Deathbed Tales”, che niente ha a che vedere con i vagiti crudi e taglienti del primo lavoro: anticipato dall’EP “Ballads From Nowhere”, che sapientemente racchiude i pezzi di maggiore impatto del successivo LP, “Deathbed Tales” rappresenta l’apice del progetto Kleingott. I suoni sono puliti, precisi, incisivi, stimolanti; si è nel frattempo passati all’uso dell’inglese, la chitarra esplode in tutta la sua cruda sonorità malleabile (come in Where Time Goes, pezzo di apertura in cui è utilizzata come richiamo al suono di un polveroso orologio a pendolo), così come malleabile è la voce di Gerardo, cavernosa, ma anche impegnata in sforzi gutturali sostenuti da ondate di suoni distorti, sui quali continua a danzare quella chitarra che acquista una dolcezza infinita su di un mondo sonoro altrimenti troppo ruvido e scosceso. Non mi dilungherò su paragoni musicali che possono essere ricavati dall’ascolto di questa perla folk del bel paese, soprattutto per rispetto all’umiltà e alla chiarezza degli obiettivi del progetto: questi otto pezzi, storie della buonamorte raccontate da un bardo oscuro ad un capezzale illuminato dalla luce tremolante di candele ormai consumate, sono tutto ciò che di intimo e nascosto c’è in lui. C’è la disperazione, il lato animalesco, la gioia, la leggiadria, il lato sognante, il lato nostalgico; ogni angolo dell’essere Kleingott viene sapientemente messo in musica, gioiosamente tradotto con l’acustica, rabbiosamente descritto con le distorsioni o i cambi di ritmo che quasi spezzano quelle corde metalliche che reggono il tutto, oscuramente ricoperto dalla voce ruvida e disperatamente innalzata sugli apocalittici rimasugli di echi nostalgici approdati su mondi dalla consistenza effimera.
Musica sentita, musica intimamente complessa, musica da ascoltare e riascoltare per riuscire, se si è fortunati, a captare qualche traccia dell’essenza stessa di un progetto che deve essere messo in luce, senza togliere però la sua patina polverosa che è ruvida al tocco ma che limpidamente risuona nei corridoi bui del nostro orecchio.
Qui di seguito vi lascio i pezzi di maggiore impatto tratti da questo recente LP: le ballate Where Time Goes e Years Of Drought, pura essenze di Kleingott, e il bellissimo finale Someday In Summerland, con il suo dualismo tra testo evocativamente positivo e musica contrariamente pregna di distorsioni disturbanti, sconfitte, piano piano, dall’arma ridondante di un loop mistico e sognante.
Infine, vi ricordo che sul sito del progetto, nella sezione Music, potete scaricare gratuitamente questo album o, se preferite, ascoltarlo in streaming.
Voto: (4 / 5)
Kleingott – Deathbed Tales (2013 – Autoprodotto)
- Where Time Goes
- Years Of Drought
- Elytra (Bones For Wings)
- In The Saint’s Noon
- Lorelei
- Vespertine
- Deathbed Tales
- Someday In Summerland