“Rumoroforama” di Crayon Mortel
L’ elettronica è una brutta bestia.
No, non perché la maggior parte della produzione elettronica è creata da ragazzini che, scaricati fruitilups (o ableton che sia), piazzano quattro accordi triti e ritriti con cassa battente e pedante, et voilà, sfornano il nuovo pezzone dell’estate.
Non sto parlando di questo, NON VOGLIO parlare di questo (e non so nemmeno perchè ne stia parlando).
E’ una brutta bestia perché, talvolta, ti capita sottomano quell’artista che, con il suo sperimentalismo estremo e con il suo controllare ogni singola frequenza di ogni singolo secondo di ogni singolo brano, porta te e il tuo cervello a chiedersi costantemente COSA sia in definitiva il concetto di “musica”.
Generazioni hanno vissutoquesto ribaltamento di prospettiva con Sua Maestà Brian Eno, passando poi per l’alienazione kraftwerkiana, passando ancora per Aphex Twin, il gemello malvagio, per arrivare all’hip-hop distorto e omnicomprensivo di Flying Lotus.
Ecco, a mio avviso, Colonial Patterns di Huerco S. è proprio questo: un nuovo viaggio esplorativo fra i meandri di quell’enorme area grigia che si interpone fra rumore e musica.
Nessuna continuità fra i pezzi dell’album, ogni singola traccia è un quadro a sè stante, che richiama mondi diversissimi, dalla deep house di Ragtime U S A Warning, all’ambient estremo fatto di campionamenti presi chissà dove dell’intro track, Struck with Deer Lungs, passando per mille citazioni, e passando soprattutto per un lavoro cervellotico e a tratti paranoide di sistemazione sistematica dei sistemi sonori (mi si passi il gioco di parole).
Delle tracce, alla fine dell’ascolto, si perde tutto, non rimane niente da canticchiare o anche solo da ricordare.
Però qualcosa è rimasto, inevitabilmente.
La domanda è: cosa?
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di Crayon Mortel