Il mistero Vàli e il nuovo album in studio
Chi si cela dietro al moniker Vàli? Non ci è dato saperlo. Non esistono a tutt’oggi immagini del fondatore (o fondatrice) del progetto norvegese. Se si digita Vàli su Google, troviamo solo immagini di foreste. Nebbiose foreste baciate dal sole, o freddi pini ghiacciati e attorniati da atmosfere gelide e cupe. Ironia della sorte, Google non trova l’aspetto esteriore del progetto, ma il messaggio intrinseco che la sua musica contiene.
Il puro folk di Vàli si presentò nei circuiti underground nel 2004 con l’opera prima “Forlatt”, di rilievo indiscusso per gli appassionati del genere. La raffinata chitarra acustica attorniata da strumenti classici quali flauto, violoncello e violino, senza l’uso di voci di sorta, catapulta l’ascoltatore in lande in cui la natura è incontaminata, il sole splende, il vento sfiora le foglie e fa danzare gli alberi in un ritmo ondulatorio ipnotico. 10 tracce che fanno sognare, che rilassano, che alienano chi ascolta lasciandolo quanto meno sperare di vivere in posti del genere. Poi, più nulla. Nessuna apparizione live, nessun altro album se non una piccola partecipazione con due pezzi nella raccolta del 2010 “Whom The Moon A Nightsong Sings”, alla quale prendono parte la crème de la crème della scena folk e neofolk attuale (per citarne alcuni troviamo i Nebelung, October Falls, Musk Ox, Ainulindalë, Neun Welten). Prodotta dalla Prophecy, la loro casa di produzione e di molte altre band come Alcest, Ulver o Falkenbach per la scena metal, è stata poi seguita quest’anno, poco prima dell’uscita dell’attesissimo nuovo lavoro del progetto norvegese, dalla ristampa di Forlatt, confermandone l’importanza e l’impatto decisivo all’interno della sempre più allargata famiglia del folk di recente produzione.
Poco più di una settimana fa esce questa nuova fatica in studio, Skogslandskap (letteralmente “paesaggio boscoso”), sulla quale poco c’è da dire e molto più da vivere e sperimentare. Mi appoggio alle parole dello staff del sito Prophecy.de, che descrive l’album come la vera e propria naturale continuazione di Forlatt appena questo giunge al termine. Se si ascolta tutto il primo album e, a fine disco, si fa partire quest’ultimo lavoro, nulla cambia. Ritroviamo il must della chitarra acustica arpeggiata magistralmente che si fa strada tra i soliti strumenti di contorno, gli arzigogoli ritmici, le note acute che scivolano sul manico della chitarra come gocce di pioggia sui pini in estate. Quello che ne scaturisce è un lavoro molto più cupo, a tratti quasi spaventato (ritmicamente parlando), a sottolineare forse come, col passare del tempo, il mondo naturalistico di Vàli sia in pericolo, divorato e minacciato costantemente della cupidigia dell’ospite-carnefice uomo.
Un legame, dunque, indissolubile tra le due opere. Come se (e cito di nuovo la Prophecy) “nel mondo di Vàli il tempo scorra molto più lentamente che nel nostro”; radici musicali che si intrecciano, si snodano per anni e anni fino a congiungersi con il loro fratello neonato, a rafforzare quell’angolo di paradiso naturale in cui solo Vàli ha fissa dimora, e noi stolti umani possiamo soltanto socchiuderne il cancello e darvi una sbirciata. Ma, finito l’album, le porte ci si chiudono in faccia, e siamo costretti, malinconici e con gli echi altalenanti di quella inafferrabile musica meravigliosa ancora nelle orecchie, a tornare alle nostre grigie vite di tutti i giorni. Ed ecco che si palesa una possibile spiegazione per questa aberrazione verso l’uscire allo scoperto intrinseca nel progetto: chi non vorrebbe restare nel proprio mondo incontaminato, puro e semplice, piuttosto che sporcarsi l’anima svelando la propria identità a questo mondo ormai corroso e marcito da tempo?
In sostanza, su Skogslandskap c’è da dire poco: tecnicamente perfetto, coinvolgente, come già detto più tendente al malinconico rispetto alle sonorità del gemello più vecchio, capace di dilatare il tempo a piacimento e di donare un’esperienza visiva ed olfattiva, oltre che uditiva. Ma la vera chiave di lettura dell’album sta nelle emozioni che si provano, nel coinvolgimento che se ne trae e nell’assuefazione che il mulinello sonoro, così semplice ma così evocativo, provocherà in ognuno di noi quando il primo arpeggio raggiungerà il nostro timpano. E questa, come sempre, è un’esperienza del tutto personale, che lascio a voi il piacere di sperimentare e scoprire. Fidatevi di voi, lasciatevi travolgere o sollevare pacatamente da terra. Immergetevi in un’esperienza musicale sempre nuova e sorprendente, che, come oramai ho palesato da tempo, è relegata nell’underground musicale più misconosciuto, che di tesori ne ha però a iosa.
Il video in embed racchiude tutto quello che ho scritto fino ad ora: la musica malinconica ed evocativa di Stein Og Bark è accompagnata da immagini di foreste, piante, ruscelli ed alberi accarezzati dalla brezza e dal calore del sole al tramonto. Non per altro, si tratta del video ufficiale di presentazione di questo album; semplice, eppure impagabilmente adatto a svelare il cuore stesso della musica di Vàli, che rimane ancora un meraviglioso mistero dei nostri tempi.
Voto: (9 / 10)
Vàli – Skogslandskap (Prophecy – 2013)
- Nordavindens Klagesang
- I Skumringstimen
- Gjemt Under Grener
- Langt I Det Fjerne
- Mellom Grantrær
- Himmelens Grønne Arr
- Et Teppe Av Mose
- Sevjedråper
- Dystre Naturbilder
- Flytende Vann
- Stein Og Bark
- Lokkende Lyder
- Skyggespill
- Røde Blader
- Morgengry
2 risposte
[…] del meglio presente nelle sue file. E’ proprio questa la famosa raccolta nella quale, se vi ricordate, si ripresentò in studio il progetto Vàli, con due contributi all’album di un solo minuto […]
[…] è un (uno? una? non sono riuscita a capirlo e, a quanto leggo su un articolo di Interstella datato settembre 2013, non sono l’unica) artista solista neofolk norvegese. All’attivo […]