RECENSIONE: Placebo – Loud Like Love
Per la prima volta anche noi di Interstella abbiamo deciso di giocarcela sulle tempistiche , ecco quindi una bella track by track di “Loud like love” , ultima fatica in studio dei Placebo che ha vissuto ieri la sua giornata di debutto mondiale. Il tutto è stato anticipato dall’uscita del singolo “Too many friends” l’8 luglio scorso.
Si parte subito forte con la title track Loud like love. Emblematica la frase all’interno del testo “ We are loud like love” che ci da subito una forte indicazione sull’intento comunicativo del disco. Amore visto come forza incontrollabile, per l’appunto definito “loud” , definizione sicuramente originale e non semplice da trovare, soprattutto nei confronti di un argomento “stra-cantato” come questo. Scia di originalità purtroppo non seguita in maniera analoga dal song-writing musicale, che si presenta subito in uno stile new romantic , che ha molto più del alternative pop moderno piuttosto delle sonorità tipiche dei Placebo dei primi 2000 (abbandonate da almeno due album per il 90% dei brani). Il pezzo comunque (sarà per il tempo piuttosto elevato) mantiene sempre un buon tiro, e pur essendo abbastanza banale non riesce ad annoiarmi totalmente (complice il fattore “pochi ascolti”). Una partenza nella media, perfettamente in linea col recente stile della band inglese.
Segue Scene of the crime, che con il reverse azzeccatissimo all’inizio ed un’ottima linea vocale mi fa subito ben sperare. Proseguono inoltre le strane voci in sottofondo ai brani, presenti anche nella prima traccia. Una scelta di sotto-testo sulla quale mi informerò più avanti, ora mi interessa più avere un’impressione molto generale, a caldo, del disco. In realtà questo pezzo parte bene ma poi manca di dinamica restando leggermente statico. Alla fine si piazza all’interno di quei brani di riempimento che non incidono particolarmente sulle sorti di un album. Non mi piace particolarmente.
Si prosegue con Too many friends che abbiamo avuto modo di ascoltare in questi mesi. E’ sicuramente un pezzo adatto ad essere il singolo di apertura di un album. La melodia è accattivante (pur restando sempre nella sfera di banalità nella quale i Placebo ormai gravitano da tempo) e il testo è sicuramente una perla rara. Molko da il meglio di se mescolando Inglese e Francese , scegliendo di tenersi su delle linee vocali piuttosto standardizzate che però funzionano molto bene. Gli arrangiamenti sono ricchi e gli strumenti utilizzati molti. Un pezzo che sarà difficile, proprio per queste ragioni, rendere in maniera analoga dal vivo. Un brano che sicuramente alza il livello medio della fase compositiva degli ultimi Placebo.
Hold on to me si apre con la delicatezza di una chitarra acustica sorretta dalla leggerezza della tastiera. È il tipo di brano che sicuramente sei portato ad aspettarti in un nuovo lavoro dei Placebo, considerando la nuova linea stilistica percorsa dalla band da Battle for the sun in poi. Molto bella la strofa di apertura “Who let the cat out of the bag?Who told the world that I was older? Who laughed at all I had? Who said the race was over?”. Un brano che si fa davvero apprezzare, gli arrangiamenti sono sdolcinati, ma non scadono nella banalità. Mi piace davvero molto.
Rob the bank è piazzata a fare da spartiacque al centro dell’album. Basso distorto, maggiore spazio alle distorsioni e decisamente meno archi e molto più noise. Tutto bene a parte il fatto che la linea vocale non sembra funzionare alla grande. A tratti molto forzata e al limite del “cantare out” da l’impressione di trascinarsi su un’ottima struttura musicale. Un’occasione persa, un Molko deludente in questo caso. Nemmeno il testo si fa particolarmente apprezzare.
Segue A million little pieces che da subito abusa di pianoforte e tastiere. Seppur con un timing nettamente inferiore richiama per tematica e stile la title track d’apertura. Tuttavia sembra di aver a che fare più con un pezzo di James blunt che con un disco dei Placebo. Il brano personalmente mi piace, ma è impossibile da considerare all’interno della nostra concezione di questa band. Si deve profondamente comprendere ed accettare la totale virata di genere di Molko e soci negli ultimi anni. Bellissimo l’outro che si trascina, con un dolore impossibile da non cogliere, sulla frase “All my dreaming torn in kisses“. Una track che a mio parere è più su del livello medio del disco.
Exit wounds; un caro amico direbbe “ I Placebo sono morti e sepolti”. Bah. Che roba sono i primi due minuti? Erano necessari? Poi rimane un pezzo che si crogiola nella sua mediocrità nel tentativo d’essere sperimentale. Proprio no. 6 minuti così sono troppi.
Purify per fortuna ha un bel groove e risolleva una situazione che cominciava a farsi disperata. Gran brano, grande arrangiamento di synth sul ritornello. Mi fa dire “finalmente cazzo!”. Un gran pezzo, carico, pieno, dritto, senza pretese. Era ora di sentire un po’ di alternative rock fatto a regola. Ha ragione mio nonno quando dice “ Fai quello che sai fare”. Non c’è frase più azzeccata per commentare questo ultimo lavoro dei Placebo, soprattutto ascoltando questo brano. Il mio preferito del disco. 3 minuti e mezzo di adrenalina. Ricorda un po’ lo sprazzo di luce che in “Battle for the sun” era rappresentato da “breathe underwater”.
So wash away my sins
And give me catharsis
Re-magnetize my moral compass
Gran testo.
Begin the end riprende lo stile lasciato in A million little pieces. Una cosa lampante, soprattutto alla nona traccia, è che, almeno a prima vista, Molko non è stato spinto a scrivere questi pezzi da emozioni particolarmente positive. Tuttavia al contrario di altre composizioni queste le ha indirizzate su melodie che puntano più sull’emotività che sull’impatto. Un’impresa riuscita un po’ a metà. Il brano di suo non è male, ma ancora una volta 6 minuti sullo stesso giro di accordi sono davvero troppi, dopo il quinto comincio a non farcela più.
Il disco si chiude con Bosco, altra traccia caratterizzata da una durata atipica ( 6 minuti e 40). Passatemi il termine ma sono abbastanza sfinito. L’ennesima ballad in un disco di ballads non la reggo proprio. Se compro un disco di Brian Adams me lo aspetto, ma dai Placebo no, cazzo. Non riesco nemmeno ad apprezzarla per quello che merita forse perchè sono veramente arrivato. Aiuto.
Le impressioni generali, a caldo, su questo disco, sono piuttosto negative. Veramente troppo poco per una band di questo calibro. Sicuramente peggiore di Battle for the sun ed ovviamente nemmeno paragonabile a quelli antecedenti al 2006. Un disco che potete tranquillamente risparmiarvi se non siete fan sfegatati della band. Di solito evito recensioni particolarmente negative, ma stavolta era a scatola chiusa, e sinceramente Too Many Friends, seppur sfacciatamente melodica, mi aveva dato tante buone speranze. Cinque di incoraggiamento.
Voto: (5 / 10)
Alla prossima interstellari!