Un distillato di puro ambient ghiacciato: i Kauan di Anton Belov
I Kauan sono una band costantemente in movimento, come costante è il mutamento delle sonorità che via via propongono nei lavori che sfornano sin dal 2005, tutti partoriti dalla fervida mente di Anton Belov, leader indiscusso e procacciatore di meraviglie che rendono acusticamente dipendenti. Il pregio di questa band è fondamentalmente quello di trovare, per ogni traccia, quell’accordo, quelle note di pianoforte, quell’uso della voce (un gruppo russo che canta in finlandese ha già la vittoria in tasca) e dell’ambient che tutto circonda, una combinazione che trascina l’ascoltatore, lo intrappola nelle fredde atmosfere oniriche che scaturiscono da ogni secondo di ascolto e non lo lasciano più andare, se non quando il disco è finito; e, a quel punto, qualcosa scatta, ed un altro tuffo in quel gelo meraviglioso non può essere evitato.
Altro aspetto interessante è la loro evoluzione di stile: partono nel 2007 con l’album d’esordio “Lumikuuro”, che ancora può essere racchiuso in quell’area metal in cui la critica ha voluto etichettarli quando si sono presentati sulla scena musicale. Quello che troviamo all’interno di questo bellissimo inizio di carriera sono i riff prettamente doom e il growl ruvido ma indispensabile di Anton Belov, il tutto coadiuvato da quello che sarà il vero marchio di fabbrica della band negli album a venire (e che già fa intuire che quello che il leader cerca di esprimere è molto più di una semplice rabbia metal), ovvero il contorno ambient e il sapiente utilizzo del synth o del pianoforte che creano armonie talmente limpide e serene da creare un inebriante contrasto con i toni più oscuri delle chitarre dai riff pesanti e cadenzati. Insomma, quello che mi piace definire un “ambient metal atmosferico”. Per capire di cosa sto parlando, vi linko i miei due pezzi preferiti dell’album, la title track “Lumikuuro” (dove potete assaporare i riff doom e il growl mistico di Belov coadiuvati dalla forte sapienza ambient del gruppo) e “Koivun Elama”, che fa del suono cristallino del synth la sua meravigliosa arma segreta, integrata perfettamente nel contesto prog del pezzo.
I tocchi armonici ed ambient di cui è cosparso questo album d’esordio sono, come accennavo in precedenza, il vero biglietto da visita di Belov e compagni, che vogliono uscire dai rigorosi confini del metal tradizionale per sperimentare più ampiamente la propria interiorità, fatta si di rabbia urlata e trascritta in riff possenti, ma anche di vastità immense da esplorare, dove il vento soffia freddo sul viso e tutto ha il colore cristallino dell’acqua gelida dei mari del Nord. La proposta suona a tratti datata, con quegli arrangiamenti tipici del progressive anni ’70 che si infrangono nell’orecchio dell’ascoltatore come onde malinconicamente lontane, eppure così attuali e presenti più che mai nelle influenze del gruppo.
L’album successivo, del 2008, è “Tietajan Laulu” (come avrete notato e noterete i titoli e lo stesso nome della band sono in finlandese, lingua che, come accennavo in precedenza, è usata dal cantante per rendere ancora più magiche le sue forti atmosfere ghiacciate; se vi ricordate, il finlandese è una lingua che non scherza quando si parla di musica), dove al solito ambient marchiato Kauan si aggiungono elementi folk che cominciano a delineare la struttura definitiva dello stile del gruppo, una forte ossatura che fa della commistione di più influenze il suo punto di forza. Siamo già molto lontani dalle proposte doom del primo album, sostituite da delicati arpeggi folkeggianti e dall’ingresso nel complesso di Lubov’ Mushnikova al violino, altro membro fisso assieme a Belov, che viaggiano sulla voce questa volta armoniosa e libera da ogni impurità metal del cantate, che abbandona definitivamente il growl per un cantato melodico e malinconico. Prevale anche una generale tendenza post-rock rintracciabile nei prolungati riff elettrici imbevuti dei soliti pianoforte e sinth, strada imboccata definitivamente con il lavoro seguente, “Aava Tuulen Maa”, nel quale si ha la definitiva consacrazione dei Kauan a gruppo ambient per eccellenza: lunghe suite introspettive, meravigliosamente ripetitive e coinvolgenti, che portano una gelida ventata di malinconica bellezza ai timpani dell’ascoltatore. Quest’ultimo è davvero il distillato della pura essenza dei Kauan, ed eccovi due esempi tratti da questo fantastico album: la meravigliosa intro “Ommeltu Polku” (che sostiene la mia tesi dell’arrangiamento perfetto e studiato alla perfezione) e “Valveuni”, di una delicatezza devastante portata all’estrema grandezza sempre grazie ai coinvolgenti giri di pianoforte, sinth e violino su di un tappeto di consonanti finlandesi (notare come il sinth ricordi moltissimo certi gruppi prog anni ’70, pura scuola psichedelica impiantata in qualcosa di più intimo e malinconico).
Lascio perdere l’ultimo lavoro della band risalente a due anni fa, “Kuu…”, perché non ho avuto ancora occasione di ascoltarlo. Posso solo immaginare che, dopo un album come Aava Tuulen Maa, l’impostazione ormai solidificata del gruppo lo abbia portato a rimanere sulla psichedelica commistione di un ambient malinconico e puro, che risuona nelle orecchie come gocce di stalattiti dentro ad una grotta ancestrale.
Questo gruppo che viene dal freddo merita molta, ma molta considerazione: ad alcuni sembreranno cose già sentite, facenti parte di un filone prettamente fotocopiato come il post-rock; ad altri proprio non andrà di ascoltarsi album composti da otto o nove tracce da 10 minuti ciascuna; ad altri ancora piaceranno da morire, e non potranno più fare a meno di riascoltare regolarmente, se non altro, due pietre miliari della potenza malinconica dei giorni nostri come “Lumikuuro” e “Aava Tuulen Maa”. In questi giorni dal calore asfissiante, concedetevi un po’ di gelida brezza interiore. Viaggiate su lande di desolata bellezza invernale, rattristatevi, emozionatevi, e lasciatevi coinvolgere da chi, in maniera più diretta possibile, è riuscito ad accarezzare in musica l’essenza stessa dei gelidi luoghi della propria terra natia.
Una risposta
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