“Avenge the surfers”: la vendetta non è mai stata così dolce.
Con il loro quinto album in studio “Avenge The Surfers” (Elevator Records, Mauna Loa e Goodfellas, quest’ultima già attiva in passato con i casertani Rfc) i Vanz confezionano una caramella gustosissima per tutti i kids rimasti orfani delle buone sonorità punk rock di quel fantastico e scoppiettante colpo di coda che furono i primi anni duemila.
I quattro di Grosseto mi danno il buongiorno mentre infilo le mie Van(Z) old school per immergermi in un’alba grigia, e qui inizia il nostro viaggio insieme.
Al primo tiro di sigaretta e alla prima pennata sulle corde, fresca e morbida come la sabbia sulla spiaggia al mattino, mi fanno volare con loro verso Bali e all’indietro verso i giorni pulsanti della mia adolescenza lontana. Eh si proprio così, perchè i nostri in questo piccolo capolavoro punk si assumono l’onere di riproporci in chiave del tutto rinnovata quelle vibrazioni potenti ed inconfondibili con cui tutti noi siamo cresciuti.
L’overture “Leaving from TCO to DPS” strizza l’occhio ai californiani Sublime ed è una chicca che promette bene.
Si continua infatti con un “Endless Summer” che riporta alla mente la freschezza delle prodezze dei leggendari e ormai sciolti Madbones di casa Ammonia Records. Così come in “Bloody begus”, ma con un piglio più rabbioso e distorto, in fuga dall’inverno e a caccia di onde e raggi di sole, come metafora del rifiuto della prepotenza della società di un insipido e freddo dover essere, rivendicando l’esigenza di una calda libertà e assoluta creatività nel disegnare il proprio cammino tendendo alla ricerca infinita come un surfista con la sua onda perfetta.
Si capisce che i nostri la lezione del punk rock dello stivale l’hanno studiata per bene vivendosela sulla pelle quando ci catturano in atmosfere Shandoniane, mentre le parole di “Through your eyes” scorrono raccontando la forza che si ritrova nei ricordi tatuati sul cuore per affrontare la vita senza nascondersi, camuffarsi o arrendersi.
L’alchimia prosegue talmente bene da potersi permettere una splendida incursione nella raggiante attitudine da ragazzino ribelle che scuote la testa a ritmo di un furioso rock’n’roll ben miscelato con un delicato brit-pop che in “I’m a light” si chiede: “in fondo in fondo, perchè crescere?”
La vendetta dei surfisti si chiude con un paio di pezzi, “Sandy” e “Silver Coast” che tra un have you ever? e l’amore per i sogni e il vino, porgono un ultimo brindisi alla spiaggia, sentendo forte l’influenza dei Green Day della vecchia scuola senza sfociare in plagi banali di quel suono che ormai è un marchio di fabbrica del trio di Berkeley, bensì facendone un’interpretazione personale, evoluta, unica, che spiazza lasciando senza parole.
Complici di tutto questo sono senza dubbio la voce impeccabile e poliedrica di Paolo che spicca come una punta di diamante, la disinvoltura della chitarra di Filippo e il groove solidissimo di Alessandro e Ranieri che ci regalano quello che, senza timori, si può definire il disco punk nostrano più bello e completo del 2012!
E poi c’è chi dice che il punk è morto.