“Keam”: nuove speranze per il panorama musicale italiano
Il panorama italiano è pieno di band emergenti che non si limitano a suonare 4 accordi per imitare i cosiddetti “grandi del rock italiano”. Ce ne sono davvero tante, ma sono tante anche le difficoltà che trovano per farsi strada in un paese dove la musica underground viene ignorata o, peggio, fatta passare come scadente.
Ultimamente, però, si vedono sempre più spesso gruppi “meno standard”, un po’ fuori le solite band rock-pop-like. I Keam sono una di queste band che non ha paura di uscire dagli schemi e buttare nel circolo musicale un album pieno di riff anticommerciali.
La band, a prescindere dal fatto di essere composta da 5 ragazzi provenienti da realtà musicali completamente diverse, riesce a creare un quintetto davvero esplosivo. La lineup è composta da Andrew (chitarra), Mr Auri (batteria), Joshua (voce), Lawrence (basso) e Lu (synth bass); si, avete letto bene: la particolarità di questa lineup è quella si non usare 2 chitarre -impostazione standard del alt. rock/metal- ma bensì 2 bassi, uno per le solite frequenze basse e l’altro per creare un sound particolare, tutto suo. La band, grazie alla casa discografica Manua Loa (la quale si occupa della promozione discografica indipendente, portando gruppi anche su palchi importanti) e al produttore discografico Douglas Ford, entrano nel Edie Road Studio, situato a New York, per sfornare il loro primo lavoro in studio, il loro album omonimo, “Keam”.
L’album, contenente 10 traccie per una durata totale di circa 40 minuti, fa capire da subito con la prima traccia 7000 Dawns (è sufficiente il riff iniziale) cosa stiamo per ascoltare, oltre alle potenzialità dei 5 italiani. La seconda traccia Billy’s Tripp(y) prova ad illudere l’ascoltatore con un intro che personalmente mi riporta ai tipici film comici italiani, ma questa illusione svanisce con l’ingresso della batteria e del synth, oltre al resto della canzone in pieno stile alternative metal.
La terza traccia Raven’s Nest invece svolge la funzione di ‘viaggio nel tempo’, portandoci indietro negli anni 2000, anno in cui veniva pubblicato Hybrid Theory, uno degli album che più hanno rappresentato il nu metal.
Il primo singolo della band (sesta traccia), Robin’s Revenge (pubblicato tempo fa su Radio Interstella), parte con 26 secondi di sinfonia classica per poi dare spazio ad un giro di synth-bass, creando così un inizio davvero particolare. La canzone conclude con un melanconico giro di pianoforte e la frase “life is too fast / into the night alone“.
Il secondo singolo della band (settimana traccia), The Secret (anche questo pubblicato su RI), sembra girare intorno ad una realtà-sogno simile a The Matrix, un ipotesi che viene appoggiata dal video ufficiale, disponibile su Youtube.
Un album che merita di essere ascoltato. Una band di notevoli potenzialità che merita di farsi strada sia in Italia che all’estero.
A quanto pare, il panorama musicale italiano non è tutto da buttare.