RECENSIONE: Sigur Rós – Valtari
Un alito di vento che rapido si trasforma in un respiro, voci che si alzano dolcemente e mi trasportano dritto dentro a un sogno..inizio a udire dei suoni, sembrerebbero campane, ho l’impressione di sentire lo sferragliare di oggetti, potrebbe essere il lento risveglio di un villaggio alle prime luci dell’alba..ed è una soave melodia quella che arriva di lì a poco cantata da chissà quale angelo..
Quell’angelo si chiama Jónsi e il sogno è un sogno assai particolare, ha un titolo e si chiama Ég anda (respiro), ed è la prima traccia di Valtari (rullo compressore), ultimo lavoro degli islandesi Sigur Rós.
Dopo il primo ascolto avevo scritto di Valtari che mi sembrava “uno di quegli album in cui la linea tra capolavoro e delusione è un filo sottilissimo sul quale penso di camminare sopra ancora per lungo tempo…”.
Sono passate due settimane da quell’affrettato giudizio, e la notizia è che ancora non ho trovato nulla di più appropriato per definire quest’album, un album che probabilmente resterà per sempre (o perlomeno molto a lungo) sospeso su quel filo che dividerà (o unirà?) i delusi dagli entusiasti.Perchè dico unirà? Per il semplice fatto che, come avevo già detto sempre dopo il primo ascolto “una cosa è certa..mi serviranno molti molti ascolti, e questa è già di suo la notizia più bella che mi potessi aspettare!!!” ..ed è proprio questo che unirà gli ascoltatori i quali, aldilà della prima impressione, sono sicuro vorranno ascoltare e riascoltare un album che non è facile né immediato, ma forse proprio per questo affascinante.
In ogni caso, riprendendo le parole di un’altra recensione, Valtari “sicuramente non è un buon punto di partenza per scoprire i Sigur Rós, anzi è il punto di arrivo della carriera della band, la consacrazione definitiva a “band che non sbaglia un colpo”, la più completa e consapevole maturazione del loro processo creativo”. Niente di più azzeccato!! Perciò vi dò un consiglio: se ancora non li conoscete, non cominciate proprio da qui, rischiate di non farveli piacere e di perdervi qualcosa che non merita assolutamente di essere perso 😉
Cosa dire sull’album? Intanto che (nonostante le canzoni provengano da diverse sessions) ci troviamo di fronte a un lavoro eterogeneo e ben strutturato, al contrario del deludente Með Suð, dal quale si discosta fortunatamente anche per le sonorità, molto più simili ai primi lavori, Von e () su tutti, che lo rendono sicuramente un album non innovativo, ma a mio modo di vedere molto “cosciente di sè”.
I primi tre brani sono sicuramente un trio degno di nota (certo non a livello di Ný Batteri, Hjartað Hamast e Viðar vel tl Loftarasa, le tracce numero 5,6 e 7 di quel capolavoro che è Ágaetis Byrjun, che ascolterei per ore e ore in loop), oltre a Ég anda infatti troviamo Ekki múkk, che ho ascoltato con molta più tranquillità dato che l’avevo già ascoltata in precedenza (si tratta infatti del primo singolo estratto) e questo mi ha fatto abbandonare con molta più facilità alle note di piano, lente e pesanti come macigni (per la forza che hanno) eppure leggere come piume (per come riescono a trasportarti altrove).
Segue Varúð, da molti acclamato come il miglior pezzo dell’album e devo ammettere che anch’io ne sono rimasto piacevolmente colpito,grazie anche e soprattutto al suo inizio di archi e ad un finale da pelle d’oca.
Si ha l’impressione comunque, che le prime tracce siano le migliori dell’album, le ultime tre (che comprendono Varðeldur, versione rivisitata di Luppulagið) non mi hanno convinto troppo, ma non per le canzoni in sé quanto più per la scelta di averne messe tre (tutte strumentali) una dopo l’altra alla fine del disco
Dispiace per la scarsa presenza della batteria (e come potrebbe essere altrimenti, quando si ha ascoltato almeno una volta la versione live di Ný Batteri??), ma archi e cori (assieme al piano) riescono nel difficile compito di non farne rimpiangere lo scarso utilizzo.
Il bassista Georg Hólm ha detto di Valtari “questo è l’unico album dei Sigur Rós che riesco ad ascoltare con piacere a casa”. Beh, sicuramente come tutti (o quasi) album della band islandese, richiede delle condizioni esterne particolari (o meglio non casuali) per essere ascoltato ed apprezzato nella sua completezza, altrimenti si rischia di annoiarsi e di non capire cosa si sta ascoltando.. perciò aspettate il momento buono, chiudete gli occhi, mettetevi le cuffie e partite verso un viaggio che alla fine, ne sono sicuro, non rimpiangerete di aver fatto.
Completamente d’accordo! Mi piace molto la tua definizione “uno di quegli album in cui la linea tra capolavoro e delusione è un filo sottilissimo sul quale penso di camminare sopra ancora per lungo tempo…”
Complimenti davvero per la recensione 🙂
grazie Gian! Ci si vede a Villafranca? 😛
Ancora non lo so… lo spero davvero! 🙂