Machinarium e la robotica in musica
C’è una città fumosa e grigia, abbarbicata su di un piccolo colle di terra battuta dal colore fuligginoso; tutt’attorno volano piccoli robottini ovali, trasportati da eliche sopra le loro teste. In lontananza la discarica, con le sue carabattole in acciaio ossidato che mai saranno riutilizzate. Ma ecco che qualcosa sotto una vasca da bagno corrosa dal tempo si muove, sotto forma di un piccolo robottino che con grande forza di volontà recupera tutti i pezzi andati perduti nel viaggio dalla cima erta della città di cui sopra a questo luogo dimenticato da Dio e ritorna al punto di partenza per salvare il suo amore, i suoi amici e l’intera comunità da una banda di tre teppistelli bombaroli appassionati di gioco d’azzardo. Sembra una buona trama per un romanzo di fantascienza e invece è quella dell’avventura grafica punta e clicca Machinarium, sviluppato nel 2009 dall’Amanita Design,una casa di produzione della Repubblica Cieca che ci immerge in questo universo polveroso di una città robotica e dei suoi meccanici abitanti, che si esprimono con immagini stilizzate e sono ghiotti di olio venduto a fusti. Ambientazioni curatissime e dettagliate, quasi uscite da un quadro surrealista ma forgiate nella durezza e nel colore tenue del ferro rugginoso, portano con loro per tutta la durata dell’avventura un sostegno basilare di musica ambient elettronica minimalista, composta appositamente per il gioco dall’artista cieco Tomas Dvorak, in arte Floex, già attivo da tempo sulla scena con varie partecipazioni anche con le case di produzione inglesi Warp e Ninja Tune. La soundtrack del videogioco esce sempre nel 2009 e dimostra come questo giovane artista sia in grado di ricreare atmosfere prettamente robotizzate usando non solo effetti e distorsioni tipici del genere ma anche strumenti più semplici e (a dire il vero) più meccanici di quello che può essere una base dubstep o downtempo come il clavicembalo, il pianoforte, il clarinetto ecc. L’album ufficiale della colonna sonora è composto da 14 tracce che sono una sorta di percorso verso un’umanità da ritrovare, perduta nei meandri melanconici e filtrati dell’insieme,alla quale si da uno spiraglio di salvezza nella parte finale. Premetto immediatamente che, anche se si tratta di un album ben curato e piacevolissimo all’ascolto, le sue caratteristiche vengono per lo meno triplicate se lo si ascolta mentre si gioca, così da notare il vero scopo di ogni singola nota, quello di legarsi perfettamente con ogni minimo cambio di ambientazione all’interno dell’avventura. In effetti ogni traccia è studiata (e ne porta anche il titolo) per diversi momenti e diversi luoghi in cui veniamo a ritrovarci nel corso del nostro viaggio e questo è molto importante anche per spiegare le diverse scelte stilistiche dell’artista nei diversi brani. L’album ha un’apertura gioiosa, con un clavicembalo che, aggraziato, si arrampica su di una base cadenzata da una ritmica incalzante e meccanicamente espressiva (ci troviamo qui nei meandri sotterranei della città ma pur sempre in un ambiente aperto, con la luce del sole a colorare di bianco le pareti del fossato in cui siamo caduti) che sfocia poi in un ventoso ambient avvolgente, degno legame con il secondo pezzo dove tubi gocciolanti ci salutano a fianco di un fiume statico dal colore verdastro con sullo sfondo l’ancora inarrivata città con la sua caoticità scandita anche dalle soluzioni minimal sparate da ogni dove che tappezzano la traccia ancora però potente nella tranquillità di un ambient rilassante e posato. Pura meccanicità nella terza traccia invece, dove ormai ci troviamo immersi nel vero mondo dei robot con i suoi ticchettii, le sue voci gracchianti e la cadenzata cupezza del sottofondo minaccioso che si legherà più avanti alla traccia dedicata ai nemici del nostro protagonista. Ecco finalmente quello di cui vi parlavo all’inizio, l’introduzione del pianoforte e del clarinetto ad accompagnare questa miscela ibrida che si dipana a piccoli passi come un fuggevole sotterfugio. La quarta traccia ricorda molto i Boards Of Canada, con queste basi che friggono e si frantumano in ogni dove riunendosi però sempre nelle note semplici di un basso armonico condito con leggeri arpeggi di archi. Dopo un pezzo che fa da collante (un unico suono modulato e lasciato sospeso come un’onda che si allontana e si avvicina) passiamo ad un altro esempio di bravura dell’artista cieco con Mr. Handagote, fantasticamente downtempo, semplice, pieno e dal respiro largo, con mandolino usato ad arpeggio a sottolineare ancora una volta che ci troviamo in un mondo di robot e che la scattosità è all’ordine del giorno. Bellissima anche Gameboy Tune, tributo alla 8bit della miglior scuola che non si distacca però dalla coperta ambient che attuffa il gracchiare della base. Una parentesi più oscura e minacciosa ricopre le tracce successive, con il theme del trio di nemici e la sua marcia cattiva e spietata introdotta da un’altra traccia cupa e sostenuta da una serie di strumenti scheletrici come il piano e le spazzole da batteria e seguita dal minimalismo estremo del tema della prigione, che richiama il buio, che spaventa con voci sussurrate obbligatoriamente ruvide e meccaniche; ad illuminare con qualche limpida nota abbiamo giusto il pianoforte e una sorta di carillon. Molto espressivo e forse fulcro dell’intero album e il pezzo della farfalla nella serra, un ambient delicato e malinconico, ovattato come il pianoforte che scandisce il tempo che sembra sospeso in questa prigione di vetro dove una farfalla è imprigionata, che si libra con voli aggraziati ben descritti dalle scelte elettroniche che ricordano le sue ali meccaniche che grattano in cerca di libertà sulle finestre illuminate dal sole tiepido. A conclusione di questo mosaico evocativo abbiamo la traccia più lunga dell’album, The Elevator, con i nostri amici archi assieme al clavicembalo che vola su di una nebbiolina elettronica,cullati da onde minimal e gracchianti, che culminano in una risintonizzazione radio seguita da un presentatore radiofonico che ci presenta meccanicamente un pezzo lounge che abbandona totalmente tutto l’andazzo generale, si stacca come un macigno da tutto questo peso di meccanismi, ferro battuto, spruzzi di smog e ritrova nella musicalità da orchestrina formata da tutti gli strumenti comuni che prima erano usati come un riempimento basilare quell’umanità che forse avevamo dimenticato fino a questo punto, riportandoci alla realtà e alle nostre vite quotidiane. Un viaggio sorprendente in una sorta di risalita dal fondo iniziale al paradiso finale, una riscoperta del nostro lato umano nascosto e attufato da questa società e dalla sua armatura corrosa e sbuffante, che non finisce qui perché il caro Dvorak ci regala anche un EP bonus con cinque tracce aggiuntive sempre dalla soundtrack del videogioco (potete ascoltarle gratuitamente qui), molto più semplice e diretto al contrario del laborioso album ufficiale. Qui troviamo la traccia della band di robot di strada, che utilizza un didgeridoo, un bidone e un sax tenore che è proprio il giocatore a comporre, visto che deve aiutare i tre musicisti a sistemare i loro strumenti rovinati in modi differenti; la traccia dubstep della chiave inglese che di dubstep ha solo la base sulla quale è costruito di nuovo un’architettura ambient che non si dimentica però degli strumenti più scarni come il rumore del secchio ritmato che si può ascoltare; un altro pezzo che è un tributo ancora più sentito alla 8bit da sala giochi, senza alcuna aggiunta particolare,pura e semplice chiptune; una ripresa di Clockwise Operetta e la sua marcia ticchettante che ha però un sentore di minaccia più consono allo theme dei tre nemici, anche perché in questo frangente ci troviamo a disinnescare una bomba in pochi minuti e il pezzo descrive appieno l’ansia della situazione; infine abbiamo un piano triste, con schizzi elettrici in cui si immerge in stile Air ai quali si avvicina anche per i virtuosismi con il clarinetto. Come abbiamo detto è un EP bonus quindi non ha ovviamente la struttura arzigogolata dell’OST vera e propria, è più che altro un regalo che l’artista ha voluto fare ai più affezionati che volevano ascoltarsi anche le rimanenti tracce non inserite nell’album ufficiale, un album che ho voluto descrivere nella sua pienezza e con immagini dei diversi luoghi ai quali le tracce si legano per non rendere vana tutta questa tiritera e farvi realmente capire cosa significa creare un connubio perfetto tra vista e udito, che vi accompagna passo a passo in un risuonante ambiente metallico che profuma di fumi di scarico e ruggine.
Voto: (10 / 10)
Machinarium OST (2009)
- The Bottom
- The Sea
- Clockwise Operetta
- Nanorobot Tune
- The Mezzanine
- Mr. Handagote
- Gameboy Tune
- The Furnace
- The Black Cap Brotherhood Theme
- The Prison
- The Glasshouse With Butterfly
- The Castle
- The Elevator
- The End (Prague Radio)
Machinarium OST Bonus EP (2009)
- The Robot Band Tune
- Pipe Wrench Dubstep
- Game In The Brain
- Defusing The Bomb
- By The Wall
Una risposta
[…] della Repubblica Cieca nel mio lungo articolo sulla colonna sonora del loro precedente capolavoro, Machinarium, il che fa intuire che se c’è una cosa importante per questo gruppo di fervide menti, oltre […]