RECENSIONE: Burzum – Belus
Il metal di produzione Varghissiana mi ha sempre e comunque affascinato, ed è per questo che ci tengo particolarmente a parlare della sua ultima opera.
Finalmente uscito di prigione per la ormai famosissima causa che lo vide implicato nell’assassinio del suo ex chitarrista Euronymous, Burzum aka Varg Vikernes si ripropone ai metallari da quattro soldi come me in una chiave non proprio nuova, ma che è insieme un ritorno alle origini e un passo avanti nell’incedere del suo progetto (che nemmeno la prigione aveva fermato, con i due lavori “Dauði Baldrs” e “Hliðskjálf” che lo vedono costretto ad utilizzare esclusivamente sintetizzatori e strumenti elettronici per la paura di un “uso improprio” delle corde di una chitarrra e che lo fecero inabissare in esperimenti ambient neanche troppo malvagi ma allo stesso tempo aspri ed inesperti).
Se c’è una cosa che mi salta in mente parlando di lui è la parola “ripetitività”: e non una ripetitività qualsiasi, ma di quelle che riempiono le orecchie fino a saturarti il cervello, e su questo Varg non è mai parsimonioso, rifilando all’ascoltatore dei pezzi uguali dall’inizio alla fine con durata minima di 10 minuti, suonati con quella sua chitarra cruda e ruvida e con i suoi cambi di tonalità che ruotano sempre attorno alle stesse note.
Ma oltre che della ripetitività, io sono anche un fan della semplicità e se si combinano queste due caratteristiche eccovi il progetto Burzum bello e pronto, un metal – non metal che non farà sbraitare i vostri genitori nell’altra stanza e che vi potrà addirittura avvolgere in schitarrate che possono essere potenti o rilassanti a seconda di quanto tenete alto il volume. Non più il solito metal, ma un’innovazione, una sperimentazione al limite dell’elettro-metal (termine che mi permetto di coniare seduta stante) e dell’ambient, e che può piacere ai profani che proprio non digeriscono la pesantezza di altri gruppi e che preferiscono qualcosa che racchiuda rabbia soffocata da qualcosa di molto più vicino all’ipnotico.
Che dire di quest’ultima opera, Belus: si sente il Burzum di una volta, quello di “Filosofem”, di “Det Som Engang Var”, album tra i più rappresentativi del suo stile. Onnipresente il richiamo alle leggende nordiche tanto caro all’artista. Non mancano scelte interessanti e particolari, come in “Kaimadalthas’ Nedstigning”, unico brano che può spiccare nella catena rumorosa che unisce tutti gli altri in un sacro legame caotico ma che caotico non è. Non me ne vogliano i metallari sfegatati, ma Burzum è quanto di più indie ci sia sulla scena norvegese (almeno, per le mie scarse conoscenze).
Il mio invito è sempre quello dell’ascolto, del lasciar sfogare di nuovo questo artista nelle casse del vostro stereo, di lasciarvi trasportare dal flusso magnetico della sua musica e in men che non si dica anche questo album sarà finito, e non ve ne sarete neanche accorti.
Link Utili: Sito Ufficiale del progetto
Voto: (8 / 10)
Tracklist:
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Leukes Renkespill (Introduksjon)
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Belus’ Død
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Glemselens Elv
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Kaimadalthas’ Nedstigning
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Sverddans
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Keliohesten
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Morgenrøde
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Belus’ Tilbakekomst (Konklusjon)
Formazione:
Varg Vikerness: Guitars, Bass, Drums, Synth