[INTERVISTA] WINTER DIES IN JUNE: il freddo di un post-rock digitale
Nuovo disco e nuova frontiera per i Winter Dies in June che portano a casa questo bellissimo disco dal titolo “Penelope, Sebastian”, album ricco di richiami a quel pop industriale di matrice nordica, quelle sensazioni distese e quel mix che ricorda molto un certo tip WINTER DIES IN JUNE ci raccontano l’incontro tra Penelope e Sebastian, viaggiano tra grandi metropoli del mondo e capitali di costruzione, sfumano sospesi in deserti freddi e cercano comunque le soluzioni pop per questo disco dai contorni digitali.
Un sound davvero internazionale che noi vi lasciamo ascoltare.
Il video di lancio è “Aeroplanes”:
Un nome assai interessante. La vostra musica sa di ghiaccio e di paesi freddi… eppure voi avete un nome contro l’inverno. Ci date una chiave di lettura?
Grazie della domanda.
In realtà da questo disco abbiamo aggiunto alcuni suoni che forse rendono il tutto più freddo. Il primo disco con archi e trombe suonava senza dubbio più appassionato.
Il nome in realtà nasce da una vecchia canzone del cantante Alain, ci piaceva, suonava bene. Potrebbe essere anche un modo diverso per dire che non esistono più le mezze stagioni.
A parte gli scherzi, siamo abbastanza ossessionati dalle stagioni, dai mesi, perché raccontando storie, cerchiamo sempre di dare un contesto.
Ecco perché nel disco senti parlare di mesi dell’anno, di luoghi, di città e di canzoni.
Ho sensazioni di ghiaccio dicevo. Una musica che si ispira molto ai paesi nordici?
Nella nostra musica convivono da sempre accenti post rock più o meno dilatatati e un cantato più debitore alla forma canzone classica.
In questo disco abbiamo forse pigiato un po’ di più sulla parte sonora dei pezzi, ecco perché anche il cantato ha preso echi dream pop.
Da dove deriva l’ispirazione? Che radice italiana avete nella scrittura?
La scrittura dei brani paga pegno a molte referenze.
Cerchiamo però di stratificarle talmente tanto da farle quasi perdere.
La parte italiana rimane molto nella melodia, dove sono comunque presenti soluzioni tratte liberamente da Sergio Endrigo e Lucio Battisti.
Bella questa idea di raccontare una storia al contrario. Perché raccontarla così?
Perché ci sembrava un modo giusto per capirla meglio.
Andare alle origini delle cose e dei perché, salvo scoprire che non ci sono perché. Riavvolgere il nastro è anche vedere quale percorso si è fatto ed accettare forse che la strada è terminata.
Spesso è più bello sapere come è iniziata.
Più interessante.
Anche perché le storie hanno tutte un loro inizio ma un’unica fine.
Torniamo in Italia: che colloquiate con la cultura che abbiamo attorno alla musica oggi?
Potrei rispondere che il digitale ha cambiato tutto e il mercato qui e le autoproduzione là e il vinile e bla bla bla.
In realtà abbiamo una proposta molto viva, anche se parecchio uniforme.
La poetica e la poietica sono quelle del nostro tempo: frasi brevi che si vorrebbero incisive. Poca capacità di approfondimento, non si alza la testa dal proprio ombelico.
Purtroppo, come spesso accade, il contenitore (ovvero il meduim che si sceglie per veicolare la propria musica) condiziona il contenuto.
duraniano
Link utili: Winter Dies in June