[INTERVISTA] L’America di EDOARDO PASTEUR: esce “Dangerous Man”
Quello di Edoardo Pasteur è un esordio anacronistico, fuori dal tempo in tutti i sensi.
E oserei anche aggiungere che siamo fuori anche da certi stilemi che, guarda caso, hanno scritto la storia della musica (mondiale) in tempi antichi, quando forse c’era attenzione per la comunicazione del messaggio più che per i like su una pagina.
Pasteur lascia lo sport e si dedica alla letteratura americana, musicale e non, con un disco di inediti assai particolare dal titolo “Dangerous Man”.
Pecca di pronuncia inglese e anche tanto, ma gioca assai bene sul piano strutturale mettendo in piedi una costruzione assai ambiziosa.
L’introspezione narrativa di Cohen, il post rock trasgressivo dei Floyd, il soffice folk on the road di Dylan e qualche ballata che scivola come spesso facevano gli America.
Il buon Rudy Zerbi direbbe un suicidio e noi osiamo concludere dicendo che Pasteur si è saputo suicidare con grandissimo gusto.
E siamo solo all’esordio.
Con un po’ di mestiere ed esperienza – e con una pronuncia sicuramente migliore – ci sono davvero carte importanti per vincere la corsa.
Un disco contro le mode, contro la propria lingua, contro le aspettative di questa scena indie. Da dove nasce “Dangerous man”?
Dangerous man, composto da tredici tracce, nasce da tante cose.
Nasce dalle mie esperienze, dalle mie sensazioni.
Nasce dalla musica che ho ascoltato e dai libri che ho letto.
Ma soprattutto nasce dai miei sogni.
Il pezzo stesso che dà il titolo al disco, “Dangerous man”, mi è stato ispirato da “I sette pilastri della saggezza” di T.E. Lawrence, che il grande pubblico conosce come Lawrence d’Arabia, uomo d’azione.
In realtà era un notevole scrittore, e tra le altre cose mi è rimasta impressa una sua pagina, dove dice che tutti gli uomini sognano, ma pochi sognano di giorno, e quelli sono uomini pericolosi. È nato così il mio pezzo, dedicato ai liberi pensatori, e a coloro che sognano…
A questo punto la domanda è ovvia: perché non portarlo in America?
America, America…
Sarebbe un sogno, non solo perché l’America è grande, l’industria della musica è fortissima e ha una cultura incredibile in questo campo.
Ma perché alla musica e alla letteratura americana debbo moltissimo per la mia ispirazione, e anche per la mia formazione umana.
Sarebbe un piccolo, umile atto di riconoscenza verso quel paese e per il mito americano…
E a featuring e collaborazione in pieno stile, non ci hai pensato o non le hai voluto di proposito?
Collaborazioni: in realtà ho chiesto a una bravissima interprete italiana,
EleNina Barberis, di partecipare cantando in un pezzo, “Child of the storm”, dove io recito/canto una dichiarazione d’amore per una fantastica creatura, la figlia della tempesta cui si riferisce il titolo.
A parte questo, la mia musica racconta le mie storie, le mie sensazioni, e mi piace che sia io a farlo…
Ciò detto, amerei moltissimo che qualche mio pezzo venisse adottato da altri, e lo interpretasse secondo la propra sensibilità.
Pensate: Bruce Springsteen che canta “Brothers” (dedicato alle vittime del Bataclan), o “Whatever it takes”, ispirata a quelli che in tutti i tempi hanno attraversato i mari, veri o simbolici… credo che sarebbe il pane suo!
Sono tantissimi i riferimenti che vediamo dentro questo lavoro. Uno su tutti?
Molti riferimenti, soprattutto provenienti dalla storia musicale americana, ma su tutti, come potrete immaginare da quanto detto sopra, il Boss!
Gli devo molto, mi ha accompagnato nella mia crescita umana e artistica, e chi ha avuto l’occasione di vederlo suonare dal vivo sa che ha una capacità incredibile di trasmettere emozioni.
Quello che dovrebbe sempre fare la musica!
In italiano? Hai provato a dar voce alle tue canzoni in italiano?
Ahimè, la mia ispirazione mi porta a scrivere in inglese, i miei pezzi nascono così e renderli in italiano sarebbe come raddrizzare le gambe a un cane…
Tuttavia, ho fatto anche qualcosa in italiano al di fuori della mia produzione tipica, come ad esempio “I tramonti di Genova”, tratto da una poesia di Maurizio Gregorini, cui sto lavorando, e che uscirà a breve.
Ho poi scritto un pezzo, Fiore di campo, dedicato a una ragazza, Margherita, che ha perso la vita in un incidente in montagna.
Infine, per divertirmi, sto lavorando a un inno del Genoa, “Apri le tue ali”.
Parafrasando questo titolo vorrei chiudere con una riflessione. Cos’è davvero pericoloso in un uomo?
Pericolosi, nonostante quanto io dica ironicamente in “Dangerous man”, non sono i liberi pensatori, ma esattamente l’opposto. Rinunciare ai nostri sogni, per paura che possano avverarsi…
Link utili: Edoardo Pasteur