Gli UFFICI STAMPA e la questione dei “Faccendieri del nulla”
Nei giorni caratterizzati dalle polemiche, più o meno moderate, riguardanti l’expo balza dinanzi ai miei occhi, per l’ennesima volta, una questione ormai ridondante e quantomai scontata. Che esista nel nostro paese un modus operandi sostanzialmente personalizzato di svolgere una qualsivoglia mansione è una realtà alla quale ormai ci siamo dovuti rassegnare.
Concluso l’incipit forzato per mettere EXPO fra i tag possiamo arrivare al dunque.
Mi sono sempre chiesto quale grave forma di cancro cerebrale colpisse costantemente tutti quelli che si occupano (nel 90% dei casi con il profilo di volontari) di stampa musicale in Italia. Questo assillarsi derivava sostanzialmente da una domanda che non smetteva di comprimere il mio cranio:
Se non ti paga nessuno perché ti comporti come se tu fossi pagato?
Facciamo qualche precisazione. Spesso mi capita di sentir dire proprio da chi scrive gratuitamente di musica (ed è giusto che scriva gratuitamente dato che non avrebbe le competenze per essere pagato) “La musica deve essere un lavoro“, ” Siamo l’unico paese del mondo in cui la musica non è un lavoro“.
Il punto non è che sia sbagliato essere professionali anche in qualcosa per cui non si è strettamente remunerati. L’imperdonabile errore sta nello spingere il cantautore x perché l’ufficio stampa con cui hai una collaborazione esclusiva (che si basa su un guadagno UNILATERALE) ti dice che i suoi pezzi sono una bomba. E tu ci credi perché l’ufficio stampa è rispettabile, ci credi per tante ragioni che rimandano soprattutto ad intelligenti operazioni di marketing che sarebbe superfluo approfondire in questo contesto (oltre che noioso). La genialità del meccanismo non sta soltanto nello spingerti a scrivere che quel cantautore spacca, ma anche nel fartelo credere. Facendoti credere questa cosa ti illudi di avere uno scopo, ti metti quei pezzi sull’iPod e posti i testi su Facebook. A quel punto hai questa visione disturbata ed irrealistica in cui il tuo lavoro è la tua passione. E fai parte di quel sistema che porta soldi agli unici che riescono ancora a guadagnare qualcosa sulla musica. I musicisti? Assolutamente no. I promoter, gli uffici stampa, i Faccendieri di un underground che non esiste. Fare nomi è abbastanza superfluo.
È curioso però notare come i maggiori magazine italiani spingano ciclicamente ed all’unanimità il fenomeno di turno. Infondo tutti i più grandi dischi della storia hanno sempre e comunque spaccato la critica. Molte cose non tornano. Non che avere un ufficio stampa ad oggi sia sinonimo di essere l’incarnazione del male. Esistono molte agenzie che si muovono su tariffari ragionevoli e meccanismi trasparenti. Per quanto siano comunque sbagliate a livello di matrice morale (intesa come gestione italica dell’agenzia) , non avendo monopolio alcuno riescono a circoscrivere danni e terra bruciata. Poi però ci sono GLI UFFICI STAMPA. E anche stavolta fare nomi è superfluo. In questo senso ogni tipo di meritocrazia viene meno. Se tu sei il miglior gruppo italiano (per quanto anche i parametri più oggettivi non possano confermare tale affermazione) e non hai i soldi per pagarti i promoter adeguati, col cazzo che arrivi in tempo utile sulle magazine che contano (intese come piattaforme che possiedono la capacità di influenzare buone fette di pubblico e recensori minori). E ancora più col cazzo che suoni in posti dignitosi. Sagre dei fagioli e pizze fritte, se va bene. Anche perché ormai il promoter di turno che si crede Gesù Cristo c’è sempre. Per fortuna, ogni tanto, succede che c’è qualche band valida che riesce a pagarsi qualcosina. Questo inesorabile decadimento qualitativo ci ha portato, nel giro di pochissimo tempo, a ridurre l’espressione musicale a semplice provocazione, estremizzazione, isterismo. Può essere soltanto questo la musica?
A risponderci è il mondo. Ed il NO è più fragoroso che mai. Probabilmente la barriera linguistica non rappresenta l’unico ostacolo per un’improbabile diffusione oltreconfine della nostra “scena”. Che esista un mercato estero interessato ai fenomeni italiani ce lo fa credere soltanto il tendone tutto tricolore dello Sziget. In realtà più simile ad un’area bimbi, ad un circo, mentre i grandi si divertono altrove.
Comunque se sei uno che recensisce dischi e vuoi spiegarmi perché non fai altro che costringermi a bloccarti, dato che posti i testi e le canzoni di Levante, sarò ben felice di leggerti e comprenderti.
Una risposta
[…] inevitabilmente cominciano a girarmi le palle. Inevitabilmente perché (e qui ci ricolleghiamo all’articolo di Maggio) è una di quelle etichette che sta sempre sbattuta su Rockit (che puntualmente ne elogia tutto, […]