RECENSIONE: Palco numero cinque – Carta straccia
“Carta Straccia” è il primo album dei Palco Numero Cinque.
Il titolo evoca la sensazione di qualcosa d’inutile e da buttare. Bene, questo disco è l’esatto contrario. Da stracciare non c’è praticamente nulla, anzi. I Palco numero cinque hanno messo su un album di grandi pezzi: nei testi, nelle sonorità, negli arrangiamenti. È sicuramente un progetto difficile da ascoltare e digerire, soprattutto in questo momento storico dove il minimalismo ha pervaso ogni genere. I Palco numero cinque, invece, sono barocchi, tracotanti e ricchi di spunti. Nulla è impossibile per gli arrangiamenti; le chitarre compongono linee addirittura in grado di vivere anche al di fuori del brano. L’uso del synth non è mai eccessivo e “poppeggiante”, ma sempre oculato e preciso.
C’è una forte ispirazione classica nella complessità delle melodie; nei testi c’è tanto sperimentalismo in grado di evocare nomi come quello della storica PFM, degli Area e tanto, ma tanto, quello dei Marta sui Tubi. Questi paragoni servono solo a dare un’idea ed un’inquadratura di quello che il disco potrebbe ricordare, ma in realtà questo album è qualcosa di davvero unico. Elemento fondamentale della band è la voce del frontman: una vocalità pulita, chiara e con una grande estensione. È bello sentire una voce simile, in un panorama musicale dove la cultura del “timbro” a volte supera l’importanza dell’intonazione e dello studio. “Narciso” è il pezzo più bello del disco; romantico e con una vena più melodica rimanendo, comunque, ricercato. Vedi la scelta di modulare le distorsioni tanto da farle divenire un coro d’archi.
Carta straccia non si allinea con la semplicità oramai banale e stucchevole dei quattro accordi farciti da distorsori e da batterie ossessive. Menomale! Sì perché la musica deve essere anche questo: roba complicata, ricercata e che non entra in testa al primo ascolto. Si sa, i brani che piacciono da subito sono quelli che stufano prima. Si tratta di un album da rincorrere, uno di quelli che devi tornare indietro con lo switch dello stereo perché non hai capito. È inevitabile non concentrarcisi proprio per la sua complessità fatta di testi ermetici, di chitarre ricercate, di bassi che prendono il sopravvento e che diventano padroni sconvolgendo ritmiche e melodie.
Un album che non annoia, che non muore dopo due ascolti, che è “progressive” nel senso più profondo del termine. Un bel disco che non è “troppo” ma solo “tanto” e questo è positivo. Ce ne vorrebbero di più di band in grado di avere così tanti spunti ed idee da non essere costrette mai a ripetersi.
Valentina Ecca
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Voto: (4 / 5)
Tracklist:
1 – Cometa d’Acciaio
2 – E mi sollevo
3 – Il Cerchio Quadra
4 – Il Peso della Follia
5 – L’Infrarosso
6 – La Parabola della Pallina di Carta
7 – Narciso
8 – Punto di Vista
9 – Sogni
10 – Stanco Morto
11 – Ti Ritroverai