RECENSIONE: Ainulindalë – Nevrast
Da quel passato ormai lontano in cui mi avvicinavo in punta di piedi a quello che poi è diventato un genere cardine della mia esistenza, torna il progetto francese Ainulindalë. Undici anni sono passati da quando l’esordio in studio “Lay Of Leithan” veniva sezionato, studiato e consumato da un giovane alle prime armi, ancora ignaro di quanto coinvolgimento ci fosse dietro a quel dark folk primordiale, a quelle atmosfere cupe ed introspettive che caratterizzavano quella prima opera così incisiva e allo stesso tempo così ingiustamente reclusa nei meandri oscuri dell’underground.
Parto del fervente artista Thomas Reybard, in arte Engwar, il progetto deve il suo nome alla musica degli Ainur di tolkeniana memoria. Quella musica dalla quale ogni singolo evento che costituirà la saga del Signore degli Anelli scaturisce. Un nome che porta dunque il peso di una responsabilità non indifferente, facendo assurgere l’artista a costruttore di mondi musicati, vero Dio creatore che fa dei suoni semplici ed incisivi del folk la scintilla vitale che espande davanti agli occhi dell’ascoltatore un paesaggio dettato da arpeggi, archi e voci melanconiche, come tessere di un puzzle che, vorticando, si posano a completare un incastonato paesaggio rarefatto.
Dopo molti anni da quell’esordio legato ad una storia breve di Tolkien (e, lo si era capito, autore da cui l’arte del progetto trae la sua linfa vitale) e una produzione black metal di intramezzo con il suo side project Vehementer Nos, finalmente Engwar torna in studio, questa volta attorniato da collaboratori di ogni sorta, per riportare i seguaci delle sue sonorità in un nuovo viaggio nel suo folk puro e scevro di contaminazioni.
Il risultato è questo Nevrast, l’esempio di come una terra appartenente all’immaginario fantasy possa essere tranquillamente messa in musica ed evocata emotivamente da ogni arrangiamento e scelta stilistica che si andrà a riscontrare lungo tutto il tragitto delle otto tracce che compongono questo mosaico che impiega meno di 40 minuti per essere completato. Il CD è accompagnato inoltre da un DVD che contiene il mix in 5.1 dell’album e il video di “Under May’s Moon”. Era prevista anche l’aggiunta di un cortometraggio di 10 minuti intitolato “Of Beren in Dorthonion” e legato al primo periodo musicale dell’artista, ma non è stato possibile inserirlo per motivi di spazio (includerò comunque il video alla fine dell’articolo per chiunque sia curioso di visionarlo, visto che Engwar ha deciso di pubblicarlo integralmente sul canale Youtube ufficiale del progetto).
L’ intro “Hither Land” vede subito il contributo di un violoncello malinconicamente dark, legame indissolubile con il passato del progetto, e pizzicato a tratti, come piccole tracce di creaturine sulla neve di Arda.
Bellissima messa a nudo del nuovo approccio musicale del progetto è la successiva “The Parting”: larghi respiri di violoncello, cantato questa volta ben scandito e malinconicamente felice, non più sommessamente intrappolato nelle atmosfere dark folk degli esordi. Violini che tanto ricordano le scelte stilistiche dei Neun Welten, vere spirali sonore di pura magia folk. A consolidare l’atmosfera eterea, un contributo femminile alla voce, melanconicamente lineare con le sviolinate riempitive che risvegliano sensazioni sopite da eoni.
Ogni brano è la rappresentazione musicale di un pezzo di mondo, spaccato incredibilmente vivo e vario come solo il vasto universo scaturito dalla fantasia di Tolkien può essere. “By The Shore” riprende a tratti le sonorità dark folk dei primi anni del progetto, elevandole ad eterea danza di sfrigolanti scintille scaturite da un falò nei pressi del mare al tramonto, tra lo sciabordio della risacca e la voce rimembrante di un menestrello viaggiatore quale è Engwar, tra epici scontri di cori e trombe e meditabondi arpeggi boscosi.
“Namarië” vede il ritorno del violoncello accompagnato dall’elfica voce femminile che duetta con quella ruvida del cantante, in una sorta di oscura storia d’amore che si consuma e si disperde tra intricate distese boscose.
“Vinyamar”, titolo che porta il nome della capitale del regno di Nevrast, è il ricettacolo di quel folk che non sbaglia mai, ponderato, ipnotico, delicatamente evocativo come solo quello delle band che militavano agli esordi del genere possono proporre. Quel folk non infettato da nessuna influenza, che resta nella semplicità di sei corde e una cassa armonica.
In “Under May’s Moon”, l’aedo Engwar è di nuovo il protagonista di questo pezzo medievaleggiante, pacato e sognante, vivo e brillante come le distese nevose di Florence Gillot, che regala le illustrazioni all’album chiudendo così il cerchio che unisce musica, emozioni e visualità in una simbiosi inestricabile. Paesaggi monocromatici, statici e freddi come le note cristalline degli strumenti utilizzati.
La successiva title track è la più sentita dell’intera opera, perfetta trasposizione malinconica di una terra abbandonata ed un tempo fiorente, lasciata ad un nebbioso abbraccio che la stringe in una morsa inesorabile, nascondiglio di una gloria passata che oramai è solo un lontano ricordo. Traccia più lunga e quindi pezzo cardine dell’intero quadro, si eleva a struggente canto elfico di speranza, a dimostrazione di quanto il mondo tolkeniano sia radicato nell’anima stessa del cantante, moderno alfiere del fantasy, coriacemente simbiotico con ogni sfaccettatura di quest’ultimo, dalle vaste pianure nevose alla singola foglia che,vorticando tra arpeggi e accordi, termina il suo viaggio sulla gelida brina che ricopre il terreno sottostante.
“Distant Land” è infine una conclusione spasmodicamente potente nella semplicità di un arpeggio, così evocativa di ciò che è stato il mio primo approccio al genere da dare i brividi. Flauto, chitarra, emozione e nient’altro. Questo è il folk puro, questo è il progetto Ainulindalë.
L’album è sicuramente un discreto passo avanti stilistico, molto più aperto a sonorità cristalline e più allegre rispetto agli esordi. Ogni dettaglio è curato nei minimi particolari, per trasportare l’ascoltatore in un mondo altro, prerogativa del puro folk che è raro trovare al giorno d’oggi viste le sue mille contaminazioni. Un vero spaccato di un mondo fantastico, che può essere quello di Tolkien o quello dei freddi quadri che accompagnano le note dell’album, rappresentazione comunque sia vivissima di un’anima artistica che sa mettere a nudo esperienza, passione e sensazioni viscerali poeticamente amalgamate in un’opera fluente, semplice e di una potenza evocativa inaudita.
Lorenzo Nobili
Link utili: Ainulindalë | On Facebook | Youtube
Voto: (8 / 10)
Tracklist:
- Hither Land
- The Parting
- By the Shore
- Namarië
- Vinyamar
- Under May’s Moon
- Nevrast
- Distant Land
Formazione:
- Ainulindale è l’anima e il mondo di Thomas Reybard aka Engwar.
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