roBOt Festival 06. Day 4 + Conclusioni
Da una vertigine è partito. In una vertigine è terminato.
Questo è l’assunto generale del roBOt Festival 06, anno 2013.
Tutto parafrasando il tema del roBOt di quest’anno.
L’edizione 2013 ha confermato il valore sempre crescente di questo festival e ha stupito per altri aspetti. Uno su tutti, gli artisti invitati. E si, perché oltre alla musica presa come corrente, quella elettronica, a farla ci sono dj e musicisti e quest’anno il valore aggiunto lo hanno dato quelli che stanno esplodendo: Seth Troxler, Mano Le Tough (sopraffino irlandese), Pantha du Prince e non per ultimo Thundercat. Il ragazzo americano, amico per la pelle di Flying Lotus (gli presta le dita come bassista e lui contracambia, producendolo) è parso un intruso in questo festival prettamente elettronico: le sue dita paffute passate sulle 6 corde del suo basso riportano ad un soul-jazz abbandonato da anni. La sua bravura e il suo aspetto, che ricorda ampiamente quello di un musicista afroamericano del passato, sono riusciti ad ipnotizzare i presenti: il suo è un funk nato dalla collisione di jazz-soul-black vecchio stampo, ed è lui che terrà le redini di questo genere per gli anni a venire. Ne sono certo!
Gli altri tre, sono i nomi di coloro che hanno suonato a notte fonda, periodo del giorno adatto al loro stile, alle loro movenze, andando verso la chiusura del roBOt Festival 06.
I Godblesscomputers, italiani DOC, hanno ripetuto e superato l’esibizione del giovedì al TPO: un po’ come se avessero apportato delle rifiniture da maestro.
Aïsha Devi, ipnotica e sensuale, impasta elettronica e voce in languido composto che molti definiscono electro, house oppure derive-dark.
Il trio Brandt – Brauer – Frick (DE), inutile dirlo, ha sconvolto tutti proponendo la loro ricerca esistenziale: creare musica techno usando strumentazione da musica sinfonica. Detto fatto. Stupore totale.
Anche per il ragazzo berlinese che di nome fa Hendrik Weber ma che tutti conoscono come Pantha Du Prince il concetto è sempre lo stesso (che cosa hanno questi tedeschi di così tanto attraente e geniale? Lo scrivo perché altrimenti si potrebbe pensare che sia retorico il mio descrivere i tedeschi come “soprannaturali”). Ha debordato con il suo capolavoro forse assoluto Black Noise (2010), alternandolo alle tracce più “spinte” dei suoi primi lavori Diamond Daze (2004) e The Bliss (2007) e al suo ultimo lavoro, quello in collaborazione con i Bell Laboratory (Elements of light – 2013).
Spaventoso è dire poco di quel ragazzotto inglese che di nome fa Jon Hopkins e che anni fa iniziò timido timido ad affacciarsi sul panorama internazionale con Opalescent (2010). Una timidezza che lo portava ad essere prevalentemente Dubstep. Oggi invece è il Re della Techno 2.0 (ascolta Immunity – 2013). Elabora un digitale barocco che nessuno è capace di copiare e infatti viene chiamato da molti per produrre colonne sonore per film e programmi televisivi. La sera del 5/10 anzi, la notte tra il 5 e il 6 Ottobre, al Link di Bologna Hopkins ha inglobato tutta la techno suonata dagli artisti che lo hanno preceduto, l’ha raffinata, assottigliata, ponendo in essere le sue atmosfere calde, sensuali e di rigore geometrico-sonoro. Da brividi i sentori delle splendide Immunity e Abandon Window.
Il roBOt 06 si chiude così, all’ ”inglese”. E chissà cosa ci riserverà per il 2014. Nuove scoperte, nuovi talenti, magari un Apparat (non arrivato perché infortunato) pronto a stupirci con tanta voglia di recuperare.