Jon Hopkins – Immunity
Che questo giovanotto classe ’79 sia stato una rivelazione, è assodato: se Brian Eno ti chiama per «dargli una mano» dietro il banco di registrazione, tanto scemo non puoi essere, per partito preso.
E così, a soli 34 anni, Jon Hopkins si conferma non deludendo le aspettative del popolo elettronico (e non solo, of course), e sforna Immunity, il disco più ispirato della sua produzione, nonché forse quello più organico nella sua inorganicità.
“Cazzo vuol dire?”
Spiego subito: prendete Immunity e mettetelo nel lettore cd.
Ffffatto? Bbbene.
Canzone numero 4, Abandon Window.
Ascoltatela, ed ecco dispiegarsi davanti ai vostri occhi il modus musicandi di Hopkins.
Suoni reali che modulano dolcemente e lentamente in armonie elettroniche, che si intersecano ancora e ancora fra loro creando un iterazione soffice eppur potente, e fanno precipitare in un mondo dove i bit convivono (è proprio il caso di dirlo) in simbiosi estrema con campionamenti vari ed eventuali, dal pianoforte all’organetto, da meccanismi meccanici al vento.
La ricercatezza in questo caso non sta nel creare nuovi gusti in termini di armonia e/o melodia: non siamo al cospetto di nuove stili compositivi, di musica neo-dodecafonica o altre amenità del genere.
Qui si tratta solo di sedersi, mettersi le cuffie, e lasciarsi guidare in un viaggio tanto conosciuto quanto inesplorato, ascoltando e facendo propria ogni singola vibrazione che questo album può dare.
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