Origins – God Is an Astronaut : l’inevitabile evoluzione del post rock è allontanarsi da se stesso.
Titolo più eloquente di questo credo non possa esserci. Da un pò di giorni la band irlandese ha reso disponibile il download della sua ultima fatica in studio, album che ho avuto modo di ascoltare tantissime volte e con grande attenzione, per cercare di darne un’impressione quantomeno vicina alla realtà. Non è semplice inquadrare in maniera chiara Origins, almeno per me non lo è stato affatto. Dopo un disco come “Age of the fifth sun” è l’ultima cosa che ti aspetti, ti coglie di sorpresa, poi c’è da capire con calma e raziocinio quanto questa sorpresa sia gradita o assomigli di più ad una visita della suocera la Domenica mattina.
Il presupposto fondamentale di cui si deve assolutamente tener conto è che parliamo di una band che è in netta evoluzione. E’ come prendere un 16enne e pretendere di capire come sarà da adulto. Certo ha superato la prima fase di crescita ma ancora non possiamo dare un parere definitivo. Per questo si deve essere molto cauti nei giudizi, sia positivi che negativi. Discorso analogo va fatto con questo disco, che va considerato dunque strettamente all’interno di questa importante fase di transizione di uno dei gruppi sicuramente più influenti , sotto il punto di vista delle sperimentazioni, del nostro tempo.
Partiamo intanto con una FAQ degli ultimi giorni, che in tantissimi (soprattutto musicisti) mi hanno rivolto aspettando che dessi un parere su questo lavoro: è un buon disco? In definitiva sarei portato a dire di si (anche se ancora con qualche insicurezza). E’ un album molto carente rispetto ai precedenti sotto il punto di vista emozionale ma compensa questo aspetto con una forte e marcata varietà stilistica e come già anticipato con una forte evoluzione del genere per anni proposto da questa band. A stupirmi in modo particolare è la sezione ritmica. Se le chitarre infatti , insieme all’elettronica, restano a grandi linee fedeli ai capisaldi di genere, basso e batteria appaiono da subito piuttosto autonomi e molto più preponderanti rispetto ai lavori precedenti. Quasi vicini ad un alternative rock atipico e grezzo piuttosto che alla delicatezza propria del post rock.
La seconda FAQ gettonatissima è : in virtù di quanto ascoltiamo in Origins i God arriveranno, prima o dopo, a fare un album “cantato”?Beh a questo punto direi che non è una cosa da escludere totalmente e a priori, lasciando da parte le dichiarazioni della band che assicura i fan di restare “strumentale” ancora per tanto tempo. E’ impossibile non accorgersi infatti che Origins è pieno di parti cantate. Certo sono filtrate da numerosi effetti e tenute molto basse all’interno del mix, però aumentano in maniera esponenziale rispetto ai lavori precedenti in cui si trattava sostanzialmente di “rumoristica” che rafforzava la componente ambient del song-writing. Non è da escludere dunque una nuova evoluzione nei prossimi anni, proprio in questo senso.
A questo punto il vero interrogativo, che per me avrà risposta il prossimo 4 Ottobre, è : quanto renderà questo album dal vivo? Devo dire che a riguardo ho davvero pochissime preoccupazioni. Questa band ci ha abituato a concerti di altissimo livello, e sono più che sicuro che anche questa volta gli arrangiamenti live saranno ancora più belli di quelli presenti su disco.
Un lavoro che va dunque sostanzialmente capito, che impiega più tempo e più ascolti a trasmetterci il suo messaggio, un messaggio che tuttavia come sempre rimane originale e marcato, mai banale e veicolato in ogni occasione dalle giuste sonorità. Una buona riconferma dunque, a mio parere, che tiene botta col livello medio degli ultimi album in studio. Qualche ombra tuttavia resta a coprire gli ottimi spunti che si possono trarre da Origins. Si ha la sensazione finale di aver acquistato un buon disco ma per qualche motivo, difficile da scorgere, rimasto in alcune sue parti leggermente incompiuto. Sensazione forse destinata a svanire con i prossimi ascolti, o forse no. Alla prossima Interstellari!